Vulnerabili e potenzialmente a rischio: l’effetto domino generato dalla nuova guerra commerciale internazionale potrebbe mettere in serissima difficoltà 23.000 imprese italiane. Con il ritorno delle politiche protezionistiche da parte degli Stati Uniti, che minacciano di colpire direttamente le esportazioni italiane e indirettamente le catene globali del valore su cui molte imprese basano la propria produzione, la situazione si fa sempre più complessa.
La stretta commerciale americana rischia di innescare ritorsioni e squilibri globali, proprio mentre l’economia europea è già penalizzata dalla crisi della Germania e dall’instabilità dei mercati. A lanciare l’allarme è l’Istat, nel suo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi 2025, sottolineando come queste aziende rappresentino lo 0,5% del totale, ma racchiudano un peso rilevante sull’intero sistema produttivo nazionale.
La panoramica Istat
Il tredicesimo Rapporto annuale dell’Istituto Nazionale di Statistica analizza nel dettaglio la struttura delle imprese italiane e la loro esposizione agli shock esterni. L’indagine, basata su un ampio set di microdati di commercio estero integrati con i registri delle imprese, fotografa per la prima volta la doppia vulnerabilità del sistema produttivo italiano, legata sia alla domanda sia all’offerta internazionale.
Dopo aver già analizzato i rischi rilevanti relativi ai dazi Usa, nell’ultimo rapporto completo (consultabile in pdf), l’Istat ha definito vulnerabili le imprese che esportano una gamma limitata di prodotti verso pochi mercati, ma che allo stesso tempo dipendono in modo significativo dal fatturato estero. Allo stesso modo, la vulnerabilità all’import riguarda le aziende che acquistano input produttivi da pochi fornitori esteri, spesso difficilmente sostituibili, con un’incidenza rilevante sui propri costi intermedi.
Secondo i dati, nonostante la guerra commerciale interessi tutta l’Ue l’Italia si trova oggi in una posizione di maggiore vulnerabilità, per esempio, rispetto alla Germania. Non solo: è più “fragile” anche rispetto alla Cina e agli stessi Stati Uniti, proprio per la struttura del suo tessuto produttivo e la crescente dipendenza da forniture e mercati internazionali. A preoccupare sono le catene di fornitura sempre più intrecciate e una concentrazione degli scambi su pochi Paesi strategici.
Il quadro che si delinea è complesso e rischioso. Molte delle aziende vulnerabili operano in settori strategici come la manifattura avanzata, la componentistica auto, la farmaceutica e la meccanica di precisione: realtà spesso legate a doppio filo ai mercati esteri, con pochi sbocchi commerciali e una forte dipendenza dalla domanda di singoli paesi.
I risultati
I numeri forniti dall’Istat vengono approfonditi in una serie di capitoli (qui il primo, il secondo e il terzo) che delineano con chiarezza i rischi per l’economia italiana. Le 23.000 imprese vulnerabili all’export generano un valore aggiunto di 36 miliardi di euro e hanno una forte esposizione ai mercati esteri. In particolare, circa 3.300 di queste sono fortemente dipendenti dalla domanda americana, con esportazioni concentrate su farmaceutica, meccanica, gioielleria, vino e arredamento. Altre 2.800 guardano alla Germania, esportando componenti per auto, materiale elettrico e lavorazioni in metallo e alluminio, settori direttamente o indirettamente colpiti dalle tensioni sui dazi.
Sul fronte delle importazioni la situazione non è meno delicata. Sono circa 4.600 le imprese vulnerabili all’import, lo 0,1% del totale, ma molto più grandi per dimensioni. Occupano 400.000 addetti e rappresentano il 23,8% delle importazioni complessive. Le criticità principali emergono nei comparti farmaceutico, chimico, della metallurgia e della lavorazione del legno, dove la dipendenza da fornitori esteri è elevata e la possibilità di trovare alternative rapidamente è limitata.
Quali sono le imprese più a rischio?
Le imprese più esposte risultano essere quelle ad alta specializzazione e con forti legami con le filiere internazionali: in testa ci sono i produttori di mezzi di trasporto, in particolare la componentistica auto, ma anche la farmaceutica e la chimica. La dipendenza dalla Germania per l’import di input critici come farmaci, metalli e componentistica, e dagli Stati Uniti per l’export di beni ad alto valore aggiunto, amplifica la vulnerabilità dell’intero sistema produttivo.
Queste imprese si trovano spesso in filiere dove il blocco o la difficoltà di approvvigionamento di un singolo elemento può compromettere la produzione di interi comparti. La farmaceutica, ad esempio, è tra le più esposte per il valore delle forniture importate. La componentistica auto e i settori legati ai metalli rischiano invece di essere colpiti direttamente dalle misure protezionistiche statunitensi.
© Riproduzione riservata