Una proroga di 90 giorni sui dazi annunciati lo scorso aprile. Dietrofront del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che – con una mossa a sorpresa – ha deciso di temporeggiare sull’applicazione degli ostacoli doganali imposte a livello internazionale. Il ripensamento del presidente Trump sulla guerra commerciale che aveva inaugurato con clamore fin dall’inizio del suo mandato non è arrivato per caso.
Dopo oltre 18 mila miliardi di dollari di valore azionario bruciati e una volatilità di mercato che ha prosciugato circa 14.500 miliardi solo nelle Borse mondiali, il presidente americano ha deciso di rallentare, almeno per ora, sulla linea dura. La mossa arriva dopo settimane segnate da un continuo deterioramento degli indici finanziari, con perdite medie pari a 50 mila dollari per cittadino americano in risparmio azionario. Le tensioni commerciali con la Cina avevano innescato una spirale discendente che ha fatto temere una recessione autoinflitta.
Ma questa volta, rispetto a fasi turbolente precedenti, il clima era diverso: non solo la Borsa, ma anche il dollaro e i titoli di Stato hanno iniziato a scricchiolare. Il Treasury decennale ha visto il suo rendimento impennarsi fino al 4,5%, segnale che qualcuno ha cominciato a vendere pesantemente debito americano, proprio mentre i costi per finanziarlo aumentavano. Anche il dollaro, moneta rifugio per eccellenza, ha mostrato segni di debolezza. Un’anomalia che ha fatto pensare a un problema di fiducia nei confronti del sistema americano nel suo complesso.
Perfino la Cina — da sempre il più grande acquirente di titoli Usa — ha ridotto drasticamente le sue riserve in dollari: da 1.300 miliardi nel 2013 a 761 miliardi. Il segnale è chiaro: Pechino non intende più sostenere il debito americano come in passato, e la Banca centrale cinese ha smesso di rinnovare sistematicamente i titoli Usa in scadenza.
Il passo indietro di Trump non è dunque solo tattico, ma nasce da un insieme di fattori che si sono sommati: il timore di una recessione, la fuga degli investitori dai beni rifugio tradizionali americani, e un contesto internazionale in rapido deterioramento. In più, il presidente è apparso isolato anche sul piano diplomatico: dalla Cina che alza il tiro sui dazi, alla minaccia di ritorsioni verso le grandi aziende Usa in territorio cinese, fino allo stallo nel negoziato sulla vendita di TikTok.
Dazi Usa: la missione italiana della premier Giorgia Meloni
In questo scenario di incertezza, l’Europa — e in particolare l’Italia — prova a ritagliarsi uno spazio di manovra. La notizia della moratoria sui dazi annunciata da Trump arriva a pochi giorni dal viaggio programmato dalla premier italiana, Giorgia Meloni, che il prossimo 17 aprile volerà a Washington per la sua prima visita ufficiale alla Casa Bianca. Un viaggio che fino a pochi giorni fa appariva carico di incognite, dopo le tensioni diplomatiche legate ai dazi e l’assenza di un contatto diretto con l’amministrazione Usa.
Ora, invece, si apre uno spiraglio: l’ammorbidimento della linea trumpiana potrebbe creare le condizioni per un dialogo più disteso. L’obiettivo della premier sarà doppio: da un lato, rafforzare il rapporto bilaterale in vista della presidenza italiana del G7; dall’altro, tutelare gli interessi economici italiani, a partire dall’industria alimentare e meccanica, da sempre penalizzata da eventuali misure protezionistiche americane.
A facilitare il compito di Meloni contribuisce anche il recente stanziamento di fondi europei e nazionali per sostenere famiglie e imprese in difficoltà, con una quota parte dei 7 miliardi destinata proprio alla logistica e alla compensazione dei costi legati alle esportazioni.
© Riproduzione riservata