La buona notizia è che l’Italia vanta il miglior saldo tra entrate e spese delle Pubbliche amministrazioni negli ultimi vent’anni in Europa: l’avanzo primario (al netto degli interessi e con un 20% riferibile alle privatizzazioni) è di 585 miliardi di euro. Una cifra ben al di sopra degli 80 miliardi della Germania e delle performance negative di Francia (-479 miliardi) e Spagna (-270 miliardi). A questo punto, però, arriva la cattiva notizia: gran parte dei 585 miliardi di euro sono stati utilizzati, dal 1993 a oggi, per pagare gli interessi sul debito pubblico. Che, per la precisione, ammonterebbero a 1.650 miliardi di euro, pari al 6% del Pil. Un’enormità se confrontati con gli 870 miliardi francesi (2,6% del Pil) e i 386 miliardi spagnoli (2,4%). A stabilirlo è un’analisi comparata sulla finanza pubblica realizzata dal team di consulenza di Roberto Poli. «In sintesi, un debitore con debito elevato paga interessi più che proporzionali», spiega Poli. «E tutto questo è la conferma del peccato originale che l’Italia si trascina dal 1992, l’anno della firma del Trattato di Maastricht, sottoscritto pur avendo un parametro del tutto fuori controllo: il debito pubblico, che rappresentava il 104,7%del Pil contro il 42% della Germania, il 39,7% della Francia e il 45,5% della Spagna». Da qui, la necessità di «di convertire una parte significativa dello stock di debito pubblico in quote di un fondo del patrimonio pubblico immobiliare da valorizzare e rendere redditizio tramite una gestione professionale con degli obiettivi chiari. Contemporaneamente occorre riconsiderare e riqualificare le spese reintroducendo la distinzione tra quelle obbligatorie, destinate a soddisfare le esigenze di base dei cittadini, e quelle facoltative. Le prime vanno riviste selettivamente, mentre le seconde sono da tagliare».
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