Cosa accadrebbe all’Italia nel caso di default dello Stato sovrano? Quale futuro attende l’economia italiana in un futuro così avverso?. La situazione diventerebbe ancora più drammatica. A descrivere lo scenario apocalittico è Cerved Rating Agency, uno dei principali attori in Europa in tema di rating, secondo cui nell’arco di tre anni il tasso di default atteso aumenterebbe a dismisura: dall’attuale 6.8%, si passerebbe, nella migliore delle ipotesi, all’11% e, nel caso peggiore, addirittura fino al 20%. Il risultato? Almeno un’azienda su cinque andrebbe incontro alla bancarotta nel medio termine. Entrando nel dettaglio, entro due anni, fallirebbe un negozio su quattro, il 20% delle aziende di abbigliamento e il 30% di alberghi e ristoranti. Solo le aziende della chimica-farmaceutica, della componentistica e dell’Ict potrebbero non doversi preoccupare troppo: in questi settori, infatti, la stima è di una chiusura ogni dieci imprese. “Più specificatamente la possibilità per l’Italia di abbandonare l’Eurozona, troppo spesso ventilata, comporterebbe un significativo aumento del rischio, che coinvolgerebbe in maniera rilevante, tra gli altri, i settori del commercio e delle costruzioni (24% di default), segmenti di mercato che pagherebbero il conto più alto nel concretizzarsi di questo molto sgradevole scenario”, ha commentato Mauro Alfonso, amministratore delegato di Cerved Rating Agency.
Ma quali sarebbero le difficoltà maggiori che dovrebbero affrontare le Pmi in caso di eventuale default dello Stato italiano? Secondo lo studio, la prima conseguenza negativa sarebbe l’aumento di più del 10% dei tassi di rendimento a dieci anni, che comporterebbe un taglio delle attività di prestito delle banche. In secondo luogo, dovremmo fare i conti con una notevole diminuzione della fiducia degli investitori nell’Italia, che a sua volta si rifletterebbe in maniera negativa sulle chance delle imprese di competere nei mercati e assumere forza lavoro. Infine, si andrebbe incontro a un drastico calo dei ricavi, che porterebbe a un taglio irreversibile degli indici di profittabilità nel medio periodo. L’unica nota positiva per le aziende italiane “QuItaly” sarebbe la riduzione dei costi e degli indebitamenti dovuti puramente alle diminuzioni dei ritmi produttivi.
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