Donald Trump: Usa fuori dalla global minimum tax

Il mandato di Donald Trump si conferma America-centrico, e l'impatto delle sue scelte in termini di tasse preoccupa anche partner e alleati

Dalla global minimum tax ai dazi: le mosse protezionistiche di Donald Trump© Shutterstock

Pronto a difendere gli interessi degli americani, subito e senza attendere: Donald Trump ha già mosso i primi passi verso quella che si figura come una vera e propria guerra economica, che colpisce alleati e partner, Europa in primis. A inaugurare la stagione di tensioni (che si preannuncia densa e fitta) sono i suoi provvedimenti riguardo alla tassazione delle multinazionali, mossa che che rafforza le offensive di protezionismo già in preparazione. In linea con quanto aveva promesso durante la sua campagna politica, Trump ha invalidato l’accordo in passato raggiunto dall’amministrazione Biden (e sottoscritto dall’Europa) in ambito Ocse. L’accordo legittimava una global minimum tax per le imprese, creando una tassa minima del 15% sulle multinazionali, che impone alla società di pagare un’imposta aggiuntiva se le sue controllate estere hanno aliquote inferiori.

Per far sì che nella “nuova” America questo patto non abbia più valore, Trump fa leva sul fatto che il Congresso non aveva mai approvato le misure per rendere gli Stati Uniti conformi a questa imposta. Eppure, ha sottolineato, i Paesi che hanno adottato la global minimum tax hanno continuato a riscuotere l’imposta aggiuntiva dalle società statunitensi che pagano un’aliquota inferiore.

Un processo che non piace al presidente Trump, che non solo ha sottoscritto un memorandum che dichiara privi di validità i compromessi precedenti, ma sta lavorando a nuove regole, comprese delle sanzioni contro i Paesi che applicheranno regimi fiscali (inclusi quelli previsti dalla precedente intesa) che saranno reputati controproducenti o deleteri per qualsiasi brand made in Usa.

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Per accelerare la nascita delle suddette sanzioni, Trump ha autorizzato il Tesoro (capeggiato dal finanziere Scott Bessen) a stilare una serie di misure protettive che devono permettere «giurisdizione extraterritoriale su reddito americano» e che  attuino «politiche fiscali che servano gli interessi di business e lavoratori statunitensi». Le sanzioni saranno mirate a colpire i Paesi che applicheranno imposte «discriminatorie e sproporzionate» secondo il governo Usa. La risposta globale non si è fatta attendere: l’Ocse sta cercando di trovare una nuova intesa, ma il segretario generale Matthias Corman non ha nascosto una generale preoccupazione.

Preoccupazioni che in generale si stanno allargando a macchia d’olio, perché a rendere più complessa la situazione ci sono anche delle tensioni tra Unione Europea e Stati Uniti legate ai dazi dell’Ue. Trump ha ampiamente criticato le tassazioni relative ad automobili, alimenti e prodotti agricoli importati dagli Usa e ha espresso l’intenzione di applicare dazi generalizzati tra il 10 e il 20% all’import. Ciò porterebbe a squilibri e malfunzionamenti nella catena di approvvigionamento, con impatti sensibili su diversi settori industriali.

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I punti di scontro con l’Europa non si fermano qui: come aveva già annunciato in campagna elettorale, Trump si è anche ritirato dall’Accordo di Parigi sul clima, peraltro in modo plateale: ha firmato un ordine esecutivo sul palco, di fronte ai suoi sostenitori definendolo «ingiusto e unilaterale». Non è una novità, dato che durante il suo primo mandato si era già tirato indietro, ma considerando che gli Usa sono attualmente il secondo più grande Paese che emette gas serra che riscaldano il pianeta, questo processo formale di ritiro impatterà drammaticamente sugli sforzi per mitigare i peggiori impatti della crisi climatica.

Il mandato del neopresidente si conferma America-centrico, come d’altronde il tycoon non aveva mancato di sottolineare durante la sua seconda ascesa alla Casa Bianca. Resta da vedere quanto, a conti fatti, le sue azioni impatteranno sul resto del mondo e in che modo si evolveranno i rapporti internazionali.

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