È boom di italiani che emigrano: oltre mezzo milione di persone fugge all’estero

Nel 2024, le emigrazioni verso l'estero hanno raggiunto quota 191 mila, rispetto ai 158 mila del 2023: gran parte degli espatri riguarda giovani tra i 25 e i 34 anni

È boom di italiani che emigrano: un'indagine Istat mostra l'impennata© Shutterstock

Una fuga continua e costante, un flusso emorragico che continua a sembrare inarrestabile: sono sempre di più gli italiani che emigrano. Nel corso del triennio 2022-2024, più di mezzo milione di cittadini ha infatti scelto di trasferirsi all’estero, rinunciando alla residenza nel nostro Paese. Solo nel 2024, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, sono stati 191 mila coloro che hanno lasciato l’Italia, facendo segnare un incremento del 20% rispetto al 2023. Si tratta del dato più alto registrato negli anni Duemila e, più in generale, di un segnale ormai costante di una fragilità demografica che va consolidandosi.

Di fatto, il fenomeno non è solo numerico. Assume in verità un forte valore simbolico ed economico, perché a espatriare non sono soltanto cittadini in cerca di occasioni, ma in larga parte giovani e laureati, ovvero il capitale umano più prezioso per la crescita. A fronte di un inverno demografico già severo, con una natalità ai minimi storici e una popolazione sempre più anziana, l’aumento degli espatri rappresenta un’ulteriore criticità per la sostenibilità del sistema produttivo e previdenziale italiano.

L’indagine dell’Istat

A fornire il quadro più articolato sul fenomeno è l’Istat, che ha illustrato i dati nel corso di un’audizione alla Commissione parlamentare sulla transizione demografica tenutasi il 1 aprile. L’analisi si basa su rilevazioni integrate, che combinano dati dell’anagrafe della popolazione residente, iscrizioni e cancellazioni dai registri comunali, informazioni sui rimpatri e flussi migratori internazionali. L’uso del censimento permanente e di fonti amministrative ha permesso all‘Istat di ottenere informazioni «con un ritardo di appena tre mesi» rispetto all’anno di riferimento, garantendo tempestività e precisione.

Il report si inserisce in una strategia conoscitiva che mira a «offrire indicazioni indispensabili per la pianificazione e il miglioramento delle politiche», secondo quanto spiegato dal Presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli. Il quadro che emerge restituisce l’immagine di un Paese in cambiamento, colpito da una crescente mobilità in uscita e da flussi migratori squilibrati, che non compensano il deficit naturale di popolazione.

I dati sull’emigrazione

Consultando il report, i numeri parlano chiaro: come abbiamo detto nel 2024, le emigrazioni verso l’estero hanno raggiunto quota 191mila, rispetto ai 158mila del 2023. L’aumento è determinato quasi interamente dagli espatri di cittadini italiani, pari a 156mila unità, con un incremento del +36,5% rispetto all’anno precedente. Il saldo migratorio netto degli italiani è quindi «negativo per oltre 100mila unità», considerando i soli 53mila rientri nel Paese.

Nonostante moltissimi lavoratori non vogliano trasferirsi, tra il 2022 e il 2024 il numero totale di espatri ha superato le 500mila persone, con una forte incidenza nelle regioni del Nord. «Il tasso di emigrazione nel Nord è pari a 3,7 per mille abitanti, contro una media nazionale di 3,2 per mille e un valore di 2,9 nel Mezzogiorno», si legge nell’indagine. Province come Bolzano e Treviso registrano livelli particolarmente elevati: «fino a 18,4 emigrati ogni mille residenti». Il saldo migratorio complessivo con l’estero, pari a +244 mila, è trainato dall’ingresso di cittadini stranieri, ma «non è sufficiente a compensare la perdita interna di capitale umano italiano». Le immigrazioni di stranieri sono state 382mila, mentre le partenze di italiani non vengono bilanciate da rientri equivalenti.

Chi emigra, dove e perché?

In sostanza, i numeri che abbiamo appena elencato tratteggiano in modo chiaro le direzioni e i motivi degli emigrati. La gran parte degli espatri riguarda giovani tra i 25 e i 34 anni, molti dei quali in possesso di un titolo di studio universitario. Nel solo decennio 2013-2022, 352 mila giovani italiani di questa fascia d’età hanno trasferito la residenza all’estero, e tra questi «oltre 132mila erano laureati». I rimpatri, invece, sono stati decisamente inferiori: solo 104 mila, di cui 45 mila laureati.

Le destinazioni più scelte rimangono all’interno dell’Europa, in particolare Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), ma anche Austria e Svizzera sono mete attrattive, spesso per ragioni fiscali e per il «minore costo della vita o degli studi». Alcuni cambiamenti normativi, come «il nuovo accordo fiscale Italia-Svizzera, in vigore dal 2024, che ha aumentato la pressione fiscale sui frontalieri», hanno ulteriormente incentivato il trasferimento stabile della residenza all’estero.

Sul fronte delle motivazioni, oltre alle dinamiche economiche e al differenziale salariale, gioca un ruolo rilevante anche la mancanza di prospettive lavorative qualificate in Italia. Le province di confine, come Bolzano e Trieste, rappresentano snodi sensibili per il fenomeno: alla facilità logistica si sommano elementi strutturali come «il caro affitti e la pressione fiscale locale».

Le prospettive future

L’impatto economico di questa emorragia demografica è considerevole: l’Italia sta perdendo una parte sempre più significativa della sua forza lavoro potenziale. Il saldo negativo di 87 mila giovani laureati nel decennio appena trascorso pone interrogativi seri sulla capacità del Paese di innovarsi e di restare competitivo in uno scenario globale sempre più selettivo. Peraltro, le previsioni tracciate dall’Istat indicano che, senza interventi strutturali, «la popolazione in età attiva continuerà a calare».

Era già scesa dal 66,4% del 2005 al 63,4% nel 2025, mentre «la quota degli over 65 ha raggiunto il 24,7%». La pressione sugli equilibri del welfare, del sistema previdenziale e della sanità sarà crescente, in un contesto in cui la domanda di servizi aumenta mentre l’offerta potenziale si contrae. Nei prossimi anni sarà dunque necessario creare un ecosistema economico e fiscale capace non solo di trattenere i cittadini italiani, ma anche di attrarre persone dall’estero, in una logica di ritorno e di scambio. Politiche attive sul lavoro, incentivi alla residenzialità, sostegno alla natalità e riforme fiscali orientate alla competitività saranno fondamentali per invertire una rotta che, al momento, appare segnata.

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