Tagliare le tasse in modo “credibile” per dare fiducia a imprese e famiglie. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, presente al Meeting di Rimini (qui sotto il video integrale del suo intervento), sottolinea come l’attuale aumento del Pil italiano – pari allo ‘zero virgola’ – non è sufficiente, visto che “sono 20 anni che non abbiamo tassi di crescita degni della nostra ricchezza”, perché “non si sono affrontati gli ostacoli strutturali”. Per il rilancio, sottolinea il ministro, serve un intervento “macroeconomico” ma “soprattutto uno microeconomico, che riesca a cambiare i comportamenti delle imprese e delle famiglie. Se questo cambiamento non avviene la ripresa della crescita resterà debole e insoddisfacente”. Per le famiglie, ricorda il ministro, il governo ha già assicurato che dal prossimo anno cancellerà le tasse sulla prima casa. Mentre per le imprese”bisogna cercare di capire come immaginare facilitazioni fiscali per il Sud”. Sono interventi che vanno fatti in modo graduale, con un «”rizzonte temporale di medio termine” come una legislatura, spiega Padoan. Sarebbe bello poter tagliare 50 miliardi di tasse subito, ma “il principio della nostra filosofia” è che la riduzione del fisco deve essere “credibile”. L’unico modo è agire attraverso la spending review. “Se le esigenze diminuiscono c’è uno spazio credibile per la riduzione delle tasse”.
L’intervento del premier Renzi
AUMENTARE LA PRODUTTIVITÀ. Per far ripartire l’economia, prosegue il ministro, bisogna anche lavorare per rendere “facile la vita a chi rischia le proprie risorse per creare ricchezza e fornire nuova occupazione”. L’Italia, ammette Padoan, è un paese a “bassa produttività”. Un risultato del genere, osserva il ministro, che “porta con sé, quasi meccanicamente, un giudizio etico: un paese di fannulloni, in cui la gente non lavora, in cui imbroglia. Paradossalmente è esattamente vero il contrario”. Scavando nei dati però, si scopre che “la produttività, cioè il risultato che viene dallo sforzo del lavoro, è spesso basso non perché i dipendenti lavorano poco, ma perché lo fanno in un ambiente e in un contesto di impresa a volte insufficiente” (Adnkronos).
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