Industria meccanica: c’è aria di crisi

Era una delle eccellenze indiscusse della produzione industriale italiana, ora attraversa serie difficoltà. “Colpa” anche del momento difficile attraversato dall’automotive. Quali sono le prospettive per il futuro?

Industria meccanica©GettyImages

Uno dei fiori all’occhiello della nostra produzione industriale, l’industria meccanica, versa in crisi profonda: quattro aziende su dieci sono a rischio chiusura, secondo l’ultima indagine di Federmeccanica, la categoriale di Confindustria. La produzione metalmeccanica continua a scendere e zavorra l’industria. La performance del settore è negativa anche nel secondo trimestre dell’anno, con il segno meno che si espande nell’export e con le attese delle imprese che peggiorano. L’indagine dell’associazione traccia un quadro a tinte fosche. Va a picco il comparto dell’auto, con un calo che arriva a due cifre. Nel periodo aprile-giugno l’attività del settore metalmeccanico/ meccatronico è scesa ancora segnando un ulteriore -1,5% rispetto al trimestre precedente, dopo il -2,1% registrato nei primi tre mesi dell’anno, «incidendo pesantemente sulle performance del resto dell’industria ».

E, riguardo al futuro, le prospettive non sono migliori, anzi: «in relazione alla possibilità dell’interruzione di attività, il rischio è giudicato importante nel 38% delle risposte inerenti», si legge nell’indagine congiunturale. Nel complesso continuano a pesare gli effetti delle politiche monetarie considerate ancora restrittive, l’incertezza alimentata dai conflitti in corso, la generale fiacchezza del ciclo manifatturiero così come le difficoltà del trasporto marittimo a partire dal Mar Rosso.

Le difficoltà dell’industria meccanica in Europa

Non va meglio nell’Unione Europea dove la produzione metalmeccanica risulta in forte sofferenza nei principali Paesi competitor, come Germania (-1,3% nel secondo trimestre sul precedente), Francia (-1,2%) e Spagna (-0,7%). E a pagare è l’export. Nell’arco dei primi sei mesi dell’anno le esportazioni metalmeccaniche italiane segnano -3,2% annuo e -4,3% congiunturale. Intanto l’Istat fotografa in generale il commercio con l’estero di luglio, stimando un lieve calo congiunturale per l’export (-0,5%) e una crescita su base annua del 6,8% in valore e del 4,3% in volume. Aumenta anche la quota di imprese che prevedono una riduzione dei livelli occupazionali nei prossimi sei mesi (14% in salita dal precedente 11%), mentre nel periodo gennaio-luglio 2024 le ore autorizzate di cassa integrazione sono aumentate del 38,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso con un incremento della cassa integrazione ordinaria del 70,1% e del 3,5% per quella straordinaria.

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«Siamo in difficoltà, su tutta la linea dalla produzione industriale all’export», commenta il vicepresidente di Federmeccanica, Diego Andreis, «ci troviamo in mezzo a un guado e serve un lavoro di concerto, l’Europa tutta assieme, per uscirne senza lasciare indietro nessuno». E per evitare un effetto a cascata. «Se il nostro settore non va bene, tutti ne risentono», rimarca il direttore generale Stefano Franchi, sostenendo che la metalmeccanica rappresenta «un vero e proprio interesse nazionale, e come tale va tutelato e sostenuto». Ed è con questa situazione che fa i conti anche il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. In particolare per la parte economica. «Ci confronteremo con il sindacato, con spirito positivo, costruttivo e propositivo. Ma bisogna rimanere ancorati alla realtà, che è quella fotografata anche oggi», afferma Franchi.

I servizi crescono, l’industria soffre (meccanica compresa)

Ma al di là dei numeri come sta veramente l’industria italiana? Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha ricordato di recente che si viene da 18 mesi di produzione industriale in territorio negativo e che gli ordini delle principali filiere sono in calo. È dunque chiaro come a trainare il pil in questo scorcio di stagione siano stati i servizi mentre il manifatturiero è profonda in contrazione. Ma che tipo di contrazione? E i danni che ne possono emergere sono solo di carattere congiunturale o possono compromettere il profilo stesso dell’industria italiana?

Per operare un check up si può partire dall’osservatorio di Prometeia curato con Intesa Sanpaolo. «La situazione non è rosea», spiega Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia. «Gli indicatori di fatturato deflazionato dei primi sei mesi del 2024 sono negativi. Solo quattro settori crescono, uno è stabile e ben 13 sono segnalati in contrazione». Tengono e incrementano le posizioni il farmaceutico (+3,3%), la metallurgia (+3,4%), la cosmetica (7,7%) e gli intermedi chimici (+2,1%). Il settore alimentari e bevande si è fermato a +0,5% mentre sono in forte discesa l’automotive (-9,8%), la moda (-8,6%), l’elettronica, la meccanica. «È chiaro che agiamo in un contesto di domanda debole sia domestica che estera e, quindi, viviamo una condizione di congiuntura debole, ma non si tratta di un vero crollo».

Il nodo del Pnrr

Di sicuro possiamo dire che il contributo del Pnrr si è fatto sentire molto poco, del resto a fine giugno erano stati spesi solo 52 miliardi (il 26% del totale) e di conseguenza l’impatto sul sistema è stato ancora basso. Nei prodotti piani siderurgici che servono l’automotive, la meccanica e gli elettrodomestici dall’inizio dell’anno la produzione è calata del 12,4%. Nel settore del bianco i sindacati segnalano con crescente preoccupazione il calo dei volumi della Beko (ex Whirlpool). Nell’abbigliamento il distretto della pelletteria di Scandicci, vanto del made in Italy, vede centinaia di lavoratori in cassa integrazione e magazzini pieni. E in Toscana persino il distretto del fast fashion cinese a Sud di Prato ha visto dimezzarsi il fatturato ed entrare in difficoltà il 40% delle aziende. In Veneto, poi, sul tavolo dell’assessore competente ci sono ben 50 crisi aziendali.

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Per Alessandra Lanza in questa fase di grande incertezza il rischio vero è che «le imprese restino a guardare»: non rinnovino più di tante le scorte, si abituino a gestire l’esistente anche di fronte agli scossoni geopolitici e alla fine non promuovano le azioni più giuste, non riprendano a investire. Transizione 5.0 — che ha una dotazione significativa di 6,3 miliardi — in fase di annuncio aveva generato molte attese, i decreti attuativi che si erano fatti tanto attendere sono arrivati in piena estate e, quindi, è ancora presto per vedere se verranno percepiti e accompagnati con il necessario slancio da parte degli imprenditori. Se insomma, pur contando che ci vuole tempo per mettere in moto la macchina, assisteremo o meno a un replay del successo di Industria 4.0.

«L’elemento negativo che percepisco è il rallentamento delle imprese coinvolte nella transizione ecologica e digitale, questi settori stanno performando poco», aggiunge Lanza. «Per ora prevale l’attendismo in Italia come in quasi tutta la Ue». In quest’ottica, la crisi profonda dell’industria tedesca, che compromette il nostro export, può paradossalmente rappresentare un’occasione per comprare aziende o stabilire nuove partnership, ma è decisivo l’atteggiamento degli imprenditori chiamati a rinnovare il vantaggio competitivo da cui partono. O con processi nuovi che integrino l’intelligenza artificiale o tirando fuori una gamma di prodotto nuova che faccia loro conquistare fette di mercato aggiuntive.

«In questa fase di congiuntura debole», è la conclusione che viene da Prometeia, «l’industria italiana non deve assomigliare a una rana che si fa bollire senza accorgersene, deve uscire dalla pentola». Di sicuro però, al netto dell’evoluzione dei tassi, per ora la domanda di credito per investimenti non c’è e, invece, nella prima parte del 2024 sono in aumento presso il sistema bancario i depositi di liquidità delle imprese.


In Germania non va meglio…

Lo stabilimento Volkswagen di Wolfsburg (Germania) © GettyImages

l cielo sopra Berlino è ancora scuro e annuncia una nuova recessione per la Germania quest’anno. I principali istituti economici tedeschi hanno reso noto di aver rivisto al ribasso le stime di crescita, segnalando una contrazione del pil tedesco dello 0,1% per il 2024, dopo che anche il 2023 si era chiuso con una caduta del prodotto interno lordo dello 0,1%. Le ragioni della frenata tedesca, che alimenta il malcontento della popolazione? «Oltre al rallentamento economico, l’economia tedesca è anche appesantita dal cambiamento strutturale», afferma Geraldine Dany-Knedlik, responsabile delle Previsioni e della politica economica presso l’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW Berlino). Secondo l’economista, sono quattro i fattori che impediscono alla Germania di tornare a crescere. «La decarbonizzazione, la digitalizzazione e il cambiamento demografico, insieme a una concorrenza più forte da parte delle aziende cinesi, hanno innescato processi di adeguamento strutturale che stanno attenuando le prospettive di crescita a lungo termine dell’economia tedesca», sostiene.
Gli effetti sovrapposti del cambiamento strutturale e del rallentamento economico sono particolarmente evidenti nel settore manifatturiero. E il caso dell’industria automobilistica è emblematico. Particolarmente colpiti sono i produttori di beni capitali e le industrie ad alta intensità energetica. Secondo l’analisi degli economisti tedeschi, la loro competitività sta soffrendo a causa dei costi energetici più elevati e della crescente concorrenza da parte di beni industriali di alta qualità provenienti dalla Cina, che stanno sostituendo le esportazioni tedesche sui mercati mondiali. Dal punto di vista economico, il settore manifatturiero è anche in difficoltà a causa dell’indebolimento del settore industriale globale e della conseguente mancanza di nuovi ordini. Questo è parzialmente compensato dall’aumento significativo del valore aggiunto lordo in alcune aree del settore dei servizi, in particolare quelle dominate dallo Stato, come l’istruzione e la sanità.


Articolo pubblicato sul numero di Business People di dicembre 2024. Scarica il numero o abbonati qui

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