L’Africa prova a fare la Cina

Non ha certo archiviato tutti i suoi problemi, ma l’area Sub-Sahariana sembra aver intrapreso un percorso di crescita rilevante e duraturo. Che lascia intravedere opportunità anche per le imprese italiane

Sulle tavole del Madagascar, dove il riso si consuma in abbondanza, non è facile trovare qualche tipico piatto italiano, come gli spaghetti o i rigatoni. In provincia di Ferrara, però, c’è una media azienda del made in Italy, la Fava spa di Cento, che ha fatto il colpaccio: è riuscita comunque a vendere una linea di impianti per la produzione di pasta al di là dell’Equatore, proprio nel lontano Madagascar, grazie un accordo siglato con la maggiore impresa alimentare di quel Paese, il gruppo Habibo Et Cie. E così, anche la società centese, che fattura circa 100 milioni di euro all’anno vendendo macchinari per pastifici (di cui tre quarti vanno all’estero), si è aggiunta a una lunga sfilza di aziende italiane che, per esportare i propri prodotti, hanno scoperto un nuovo mercato di sbocco, quasi impensabile fino a venti anni fa. Questo mercato è l’Africa Sub-Sahariana, una regione del pianeta con oltre 850 milioni di abitanti, che è ancora piena di problemi ma, a differenza di quanto si poteva pensare nel ventesimo secolo, non sembra più condannata a vivere per sempre nel sotto-sviluppo. Anzi, a giudicare dai dati macroeconomici, alcune nazioni del Continente Nero hanno messo letteralmente il turbo, con tassi di incremento del pil non tanto distanti da quello della locomotiva Cina. È il caso del Ghana, la cui economia è cresciuta nel 2013 di quasi l’8%, ma anche del Mozambico (+7%), dell’Etiopia (+7%), del Kenya, della Nigeria e dell’Angola (tra il 5,5 e il 6,5% di aumento del pil).

PAESE PER PAESEFonte: Agenzia-Ice

GhanaPil: +8%Export italiano (primi nove mesi dell’anno):180,5 mln €

MozambicoPil: +7%Export italiano(primi nove mesi dell’anno):38,6 mln €

EtiopiaPil: +7%Export italiano(primi nove mesi dell’anno):194,8 mln €

NigeriaPil: +6,5%Export italiano(primi nove mesi dell’anno):601,7 mln €

KenyaPil: +5,6%Export italiano (primi nove mesi dell’anno):130,8 mln €

AngolaPil: +5,6%Export italiano(primi nove mesi dell’anno):257,9 mln €

LA BUSINESS COMMUNITY GUARDA ALL’EQUATORECerto, oggi sembra prematuro parlare di un boom economico dell’Africa, visto che il 60% circa della popolazione continentale vive ancora sotto la soglia di povertà, cioè con un reddito medio inferiore a due dollari al giorno. Se si confrontano le statistiche di oggi con quelle di dieci o 20 anni fa, però, si scoprono alcuni segnali incoraggianti. Nel 2000, infatti, la quota di africani in condizioni di povertà assoluta era un po’ più alta, attorno al 66%, in leggero calo rispetto al quasi 70% registrato nel 1980. Nel Continente Nero, dunque, sta nascendo pian piano una classe media, che dispone di una quota di reddito supplementare rispetto a quello di sussistenza e che può dare inizio a un ciclo duraturo di crescita dei consumi di beni e servizi. Per questo, un autorevole esponente della business community come Mark Mobius, uomo di punta della società di gestione americana Franklin Templeton Investments e tra i maggiori conoscitori dei Paesi emergenti, oggi non ha dubbi: chi vuole guadagnare sui mercati finanziari nei prossimi anni, deve guardare con interesse all’Africa. «Come confermano le previsioni del Fondo monetario internazionale», ha detto Mobius in più di un’occasione, «tra i 20 Paesi che avranno il maggior tasso di crescita economica nel prossimo decennio ci sono almeno cinque nazioni dell’area Sub-Sahariana, altre due sono Nordafricane, mentre nessuna si trova in Occidente». Se dunque la business community internazionale sta puntando con decisione sul Continente Nero, non si capisce perché non debbano fare altrettanto anche le aziende italiane come la Fava di Cento, che hanno una spiccata vocazione all’export.

LE OPPORTUNITÀ PER IL MADE IN ITALYSecondo un report elaborato da Eleonora Iacorossi, analista del ministero degli Affari esteri, le importazioni dall’estero effettuate dai Paesi Sub-Sahariani cresceranno a un ritmo di circa il 5% all’anno nel prossimo quinquennio, aprendo grandi opportunità per le imprese della Penisola che vogliono penetrare in questi mercati. A ben guardare (LE IMPRESE ITALIANE CHE OPERANO LUNGO L’EQUATORE), ci sono già tante aziende italiane in grado di fare affari in Africa, soprattutto nel settore della meccanica, che ormai rappresenta da anni la punta di diamante del made in Italy e che sta approfittando della nascita di una moderna industria in diverse zone del Continente Nero, dall’Angola alla Nigeria fino al Sudafrica, dove c’è già un livello di sviluppo economico vicino a quello occidentale. Oltre che nel comparto meccanico, però, lo studio di Iacorossi individua buone opportunità per l’export anche in altri settori, come quello dei mezzi di trasporto o dell’abbigliamento, in cui l’Italian Style eccelle in tutto il mondo. È ancora presto, però, per considerare l’Africa come il nuovo Eldorado per le griffe del nostro Paese visto che, scrive nel suo report l’analista del ministero degli Esteri, occorre che in quest’area geografica «si diffonda prima un buon livello di benessere e quindi un certo livello di consumi». Per adesso, almeno nel segmento dell’alta moda, dobbiamo accontentarci di qualche esperimento-pilota ancora un po’ isolato, come quello di Ermenegildo Zegna, che nel dicembre scorso ha aperto il suo primo store in Africa occidentale: uno showroom a Lagos, in Nigeria, nel cuore finanziario della città situato sull’isola di Vittoria.

MACCHINARI E IMPIANTI TRICOLORIIn attesa che anche in Africa nasca una generazione di nuovi ricchi pronti ad acquistare in massa i capi di abbigliamento degli stilisti italiani, l’export del Belpaese verso l’Equatore resta dunque legato all’industria più tradizionale. A rivelarlo è anche l’ultimo report annuale di Sace, il gruppo assicurativo controllato dal ministero dell’Economia (attraverso la Cassa depositi e prestiti) e specializzato nella fornitura di garanzie sui crediti all’estero, a favore delle aziende italiane. Secondo gli esperti di Sace, nel triennio 2014-2016 i rapporti commerciali dell’Italia con l’area Sub-Sahariana «subiranno un’accelerazione, in particolare in Sudafrica, Angola e Nigeria, dove si concentra circa la metà dell’export del nostro Paese».

LA PRIMAVERA AFRICANA, INTERVISTA AD ALESSANDRO TUCCI

Nel complesso, il valore dei beni del made in Italy commercializzati in questi tre Paesi raggiungerà la soglia di 4 miliardi di euro entro il 2016. La domanda di prodotti, secondo il rapporto annuale, è rivolta appunto verso il settore della meccanica strumentale: macchinari per l’estrazione di risorse petrolifere (in Angola e in Nigeria) e di minerali (in Mozambico). Non vanno però dimenticati gli impianti e le apparecchiature per il settore energetico, in particolare nel segmento delle fonti rinnovabili, che sono in forte sviluppo in Sudafrica. Inoltre, diversi Paesi stanno portando avanti dei progetti di ampliamento delle vie di comunicazione il cui sviluppo è prioritario, sia per ridurre l’isolamento geografico sia per promuovere nuovi investimenti anche in altri settori. Altre opportunità per la meccanica italiana, sempre secondo Sace, si aprono nel comparto agricolo, dove nuove esigenze sanitarie e la trasformazione delle abitudini alimentari favoriscono l’importazione di macchinari per l’imbottigliamento e l’imballaggio. In tutti questi progetti industriali, sono coinvolte diverse piccole e medie imprese italiane, soprattutto in Stati come il Kenya, la Tanzania o l’Uganda. Per aiutare le aziende tricolori a varcare i confini nazionali e a dirigersi verso l’area Sub-Sahariana, proprio il gruppo Sace ha avviato nel 2013 una linea di sostegni per i crediti all’esportazione, per un valore complessivo di 250 milioni di euro.

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