L’orologeria italiana parla straniero

La filiera soffre il costante calo dei consumi e normative fiscali comunitarie disomogenee, ma “respira” grazie ai turisti esteri che allacciano al polso i marchi più autorevoli

In Italia l’orologeria da polso ha sviluppato nel 2013 un giro d’affari di 1,15 miliardi di euro e per la prima volta dal 2007 ha registrato un segno più (seppur striminzito), parliamo dello 0,5% (dati GfK per Assorologi). Nel complesso sono stati oltre 6,5 milioni gli orologi venduti (il 21% di questi per Natale) con una flessione del 5,6% (un trend negativo che dura da 6 anni). I meccanici – automatici o manuali – pesano per il 16% come quantità venduta e per il 40,7% per esborso economico. Il canale di acquisto privilegiato resta quello tradizionale della gioielleria-orologeria, sia per pezzi (41,7%) che per fatturato (49,4%), anche se lo shopping online ormai vale il 10,6% in quantità e in 5,4% di valore totale. «Il settore, in cifre, tiene grazie alla clientela straniera», precisa Mario Peserico, presidente di Assorologi, «ma risente in modo pesante della crisi e degli strumenti fiscali, che se non vengono armonizzati a livello continentale, sono solo espedienti paradossali e di facciata che danneggiano tutta la filiera e l’Italia. Intanto, tranne pochi marchi, l’orologeria italiana è quasi scomparsa e i bei negozi, che una volta erano presenti anche in provincia, oggi resistono solo nelle grandi città e nelle località turistiche». Anche su come intervenire Peserico ha le idee chiare: «In attesa che ripartano i consumi servono idee per preservare le tipicità italiane, magari con distretti dell’orologeria sullo stile delle corporazioni medievali, qualcosa che esalti la realtà italiana dall’omologazione internazionale. Inoltre non bisogna abbassare la guardia sulla contraffazione».

A livello internazionale “splende il sole” su Swatch Group – leader mondiale del settore con 33.600 dipendenti e 20 marchi a presidiare ogni segmento di prezzo – che l’anno passato ha realizzato un fatturato di 8.817 milioni di franchi svizzeri (+8,3%), un margine operativo del 27,4% e ha aumentato l’organico di 3.800 unità. «Abbiamo avuto un esercizio record nel 2013 in tutti i segmenti», afferma Laura Burdese, amministratore delegato di Swatch Group Italia, «e per quello che riguarda l’alto di gamma continuiamo a registrare performance molto positive sia a livello internazionale che in Italia, dove il segmento è in crescita grazie alle opportunità offerte dal turismo e a ingenti investimenti mirati a rivitalizzare il mercato interno. Così le aspettative per il 2014 restano positive, puntando soprattutto a una distribuzione selettiva e qualitativa e a una clientela sempre più orientata verso notorietà, tradizione e qualità dei brand». Peraltro, crisi e le normative fiscali non hanno spinto Swatch a cambiare strategie sul prodotto e nei rapporti con i concessionari nel Belpaese. «Da sempre implementiamo strategie globali, di prodotto e marketing, di lungo termine», spiega Burdese, «e da anni lavoriamo per migliorare la qualità distributiva dei nostri brand sul territorio, in ottica di partnership con i nostri migliori rivenditori. In sintesi, la strategia è sempre quella di puntare sulla qualità, partendo in primis dal prodotto che offriamo, dalla formazione del personale di vendita, dal “customer service” alla comunicazione a 360 gradi, cercando di soddisfare al massimo le esigenze del cliente finale e garantendo un servizio eccellente».

Sempre in ambito di “colossi”, tiene duro anche Tag Heuer (Gruppo Lvmh). «L’orologeria meccanica rappresenta l’82% delle vendite della nostra marca», commenta Roberto Beccari, general manager per l’Italia «e sebbene lo sviluppo del business con turismo e “travel retail” stia portando grandi soddisfazioni e raccolga sempre più attenzione e investimenti, i consumi domestici rimangono la nostra priorità strategica. La situazione è difficile per congiuntura economica e non solo, ma riteniamo fondamentale mantenere il focus sul mercato italiano impiegando risorse e cercando iniziative per rinforzare l’attrattiva dell’orologeria e in particolare del nostro marchio, in un momento in cui la domanda è condizionata più da variabili esogene al settore. Banalmente, stiamo seminando per raccogliere quando lo scenario cambierà (tenendo presente esigenze e profili delle nuove generazioni)». A rendere ancora più difficile la situazione sono, anche per il general manager di Tag Heuer Italia, le attuali normative fiscali (l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate il codice fiscale dell’acquirente che spende oltre 3.600 euro e il limite italiano di mille euro per i pagamenti in contanti contro, per esempio, i 15 mila di Belgio e Slovenia, ndr): «Sono un vero problema per i nostri concessionari e una “manna” per i Paesi confinanti», sostiene, «e mi auguro che presto alla demagogia faccia spazio l’applicazione di un più sano e pragmatico buon senso nell’individuazione degli strumenti per conseguire quei giusti risultati, che tutti condividiamo e auspichiamo, contro l’evasione fiscale. Per quanto riguarda la crisi, la nostra risposta è stata presentata a Basilea, con il lancio di un “range” di modelli “entry price”, nelle collezioni Carrera, Aquaracer e Formula 1, nel quale le componenti qualitative sono state fortemente accresciute a scapito dei nostri margini, permettendo di offrire un ulteriore e forte valore aggiunto ai nostri clienti». Senza dimenticare l’attenzione per la clientela straniera, anche in Italia. «Il nostro Paese dovrà sempre più assumere un ruolo catalizzatore del turismo internazionale», puntualizza Beccari, «e la percentuale di asiatici che approdano in Italia è ancora molto limitata. Abbiamo di fronte un futuro roseo se sapremo valorizzare le ricchezze naturali, strutturandoci per farlo. La nostra strategia di comunicazione è orientata da tempo verso codici internazionali, senza tuttavia penalizzare le esigenze locali, ma certamente quello che è cambiato negli ultimi anni, è l’incidenza degli investimenti dedicati alle piazze con maggiore presenza di turismo».

A. LANGE & SÖHNE Dal Sihh di Ginevra la casa sassone propone la versione in oro rosa (44,2 mm) dello Zeitwerk Striking Time che indica ore e minuti a “cifre saltanti” e dispone di una suoneria meccanica con ripetizione delle ore e dei quarti (97.300 euro)TAG HEUER A Basilea, il brand di punta di Lvmh per numero annuale di orologi prodotti, ha presentato nella iconica cassa Carrera (41 mm il diametro) il Calibre 5 Day-Date con indicazioni di ore, minuti, secondi, data e giorno della settimana (2.600 euro)
HAMILTON Tra i 20 marchi di Swatch Group, Hamilton ha una posizione di rilievo nell’entry level dell’alta gamma. Da Baselworld ritorna il mitico Pan Europ (del 1971) con nuovo movimento H30 (80 ore di autonomia). Il diametro è di 42 mm (845 euro)PATEK PHILIPPE Il Cronografo Travel Time (Ref. 5990/1A) va ad arricchire la collezione degli orologi Nautilus complicati, aggiungendo al cronografo il meccanismo Travel Time che permette di leggere con un solo sguardo l’ora di due fusi orari su una cassa di 45,5 mm (44.240 euro)

Patek PhilippeUno dei fiori all’occhiello del Gruppo Richemont è A. Lange & Söhne. «Nel 2013 abbiamo mostrato un’ulteriore crescita di domanda», dice Luca Dondi, direttore generale per West, South, Central Europe and Russia/Cis, «sia a livello italiano che internazionale, confermandoci sempre più un riferimento per i collezionisti di tutto il mondo, con picchi di crescita in Svizzera, Stati Uniti e Middle East, dove le nostre boutique monomarca stanno performando molto bene. L’opportunità è consolidare il posizionamento tra i collezionisti di complicazioni; il rovescio della medaglia rimane legato alla limitata capacità produttiva e alla difficoltà di reperire risorse umane da formare in grado di produrre in un futuro prossimo le nostre opere orologiere così apprezzate quanto complesse da realizzare». E sul rapporto tra crisi e fiscalità nostrana, afferma: «Il nostro target di riferimento è così elevato da non esserne influenzato in modo particolare. La crisi, anzi, tende a favorire la ricerca di autenticità e qualità dei contenuti, principi fondamentali del nostro progetto. Domande e vendite crescono, i valori dei nostri orologi alle aste salgono e non vi è davvero motivo di apportare cambiamenti al rapporto con i nostri partner». Lo stesso vale per le strategie di comunicazione. «Messaggi e posizionamento del marchio non cambiano: innovazione funzionale, eccellenza nelle finiture e Made in Germany», dice Dondi. «Invece da qualche anno abbiamo diversificato gli strumenti diretti alla sofisticata clientela locale da quelli volti a “indirizzare” i grandi flussi provenienti dall’Asia. Non direi che abbiamo modificato la strategia, direi che è stata aggiornata a un contesto più elaborato e in continua evoluzione, dove parole come lusso, esclusività e status hanno simboli, codici e significati differenti a seconda della cultura e della maturità del Paese di provenienza».

Come conciliare l’“umore nero” di Peserico (Assorologi) e l’ottimismo dei top manager di realtà primarie sullo stato di salute del nostro mercato? Probabilmente sono i consueti due lati della stessa medaglia. Come il settore automobilistico – dove le eccellenze sono al massimo storico e le case generaliste soffrono – anche l’orologeria italiana, tra crisi, normative inadeguate e globalizzazione, sta affrontando un passaggio epocale, che per la filiera nel suo complesso, purtroppo, non si sta rivelando indolore.

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