Moda italiana in calo del 3,5%: il 2024 si chiuderà sotto i 100 miliardi

In occasione della presentazione della Milano Fashion Week Women’s Collection: la Camera nazionale della moda italiana (Cnmi) ha diffuso i Fashion economic trends (Fet), che analizzano la situazione della moda italiana

I Fashion economic trends (Fet) diffusi dalla Camera nazionale della moda italiana (Cnmi) sottolineano la frenata della moda italiana© Shutterstock

Alle porte della Fashion Week donna di Milano (17-23 settembre) gli occhi sono puntati sulla moda italiana. Un settore che, pur continuando a piacere non poco all’estero, sta comunque subendo dei contraccolpi che generano una forte sofferenza, dovuti a diversi fattori. A restituire uno scenario dettagliato del settore sono i Fet (Fashion economic trends) diffusi dalla Camera nazionale della moda italiana (Cnmi) in occasione della presentazione della Milano Fashion Week Women’s Collection. Secondo i dati, il settore (allargato anche a occhialeria e beauty) chiuderà il 2024 a 97,7 miliardi di euro di ricavi, in frenata del 3,5% rispetto al 2023.

Solo nel primo semestre 2024, d’altronde, la moda italiana ha registrato ricavi in calo del 6,1%. A risentire di questo periodo complesso sono i settori tessile, abbigliamento, calzature e pelletteria, che hanno registrato un calo dei fatturati del 10% nel primo trimestre e del 6,7% nel secondo. A trainare i conti del made in Italy è l’export.

Infatti, da gennaio a maggio le esportazioni sono aumentate del 5,1% e stando alle previsioni a fine 2024 si attesteranno intorno ai 94 miliardi di euro, in aumento del 5,5% rispetto al 2023. Questi numeri sono incoraggianti solo apparentemente, perché sottolineano come a vivere il momento più complesso e difficile sia il mercato interno: le importazioni sono calate dell’1,4%.

C’è da precisare che secondo i Fet la fase di rallentamento è iniziata dopo l’onda lunga del post-Covid, che a inizio 2023 aveva fatto registrare un +20% dell’intero settore rispetto a gennaio 2020 e un +43% rispetto al 2005. Questi importanti tassi di incremento non sono sostenibili nel medio e nel lungo termine, dunque le attuali difficoltà possono essere viste come una sorta di aggiustamento.

Dall’altra parte, però, a giocare un ruolo chiave è la situazione geopolitica segnata dal calo dei consumi in Cina, dai costi della logistica in aumento (per via del conflitto in Medio Oriente) e da quelli di energia e materie prime che risentono ancora della guerra in corso in Ucraina. Ciò che resta prioritario è il bisogno di tutelare una filiera unica, in grado di produrre il 70% del lusso globale.

Carlo Capasa, presidente di Cnmi, ha espresso il suo punto di vista sulle pagine del Sole 24 Ore, dicendo che «questo momento è critico [..] ma le prospettive per la moda italiana sono di crescita. Ci aspettiamo che in 5 anni il valore aumenti del 20%. Dobbiamo mostrare resilienza per un periodo che va dai 12 ai 18 mesi e lavorare per la solidità di un sistema in cui c’è bisogno di tutti, dei grandi marchi e delle piccole aziende».

In sostanza, dunque, l’idea è quella di non perdere ulteriori punti e di mantenere alta la qualità, nell’attesa di uno sblocco della situazione globale e della ripartenza dei consumi in alcune aree chiave, come la Cina e gli Stati Uniti.

© Riproduzione riservata