Moda: ok, il prezzo è ingiusto!

Cartellini alle stelle ma vendite in caduta libera e utili in picchiata, per non parlare della girandola di poltrone tra i direttori creativi. Gran parte dei big del lusso è in difficoltà e il 2025 si prospetta altrettanto difficile. E la colpa non è solo dell’incertezza economica, ma anche di un radicale cambiamento culturale dei consumatori

Moda: ok, il prezzo è ingiusto!Tod’s, con l’aiuto del fondo L Catterton, ha lasciato Borsa italiana per lavorare su strategie di lungo periodo© Getty Images

Lusso famelico. Crescita sproporzionata dei prezzi e ora il conto arriva alla cassa: le vendite sono in caduta libera, i direttori creativi stentano a trovare soluzioni per giustificare l’impennata dei prezzi e i brand si svalutano. Che cosa sta accadendo? Perché le griffe stanno rivedendo la strategia dei prezzi? Sappiamo tutti che il lusso è costoso, raro e ricercato, ma più di qualcuno comincia a vergognarsene, soprattutto in Oriente, dove la geopolitica diventa padrona: non è più bello quello che arriva da Occidente.

Secondo un report di Bain & Company fra inflazione e incertezza economica, negli ultimi due anni il lusso ha perso 50 milioni di clienti, registrando una brusca frenata delle vendite in Cina. Il calo si è presto riflesso sui volumi della produzione, con un crollo fra il 20 e il 25% e un impatto sulla filiera delle piccole imprese e degli artigiani. Sta accadendo, dunque, che si sta fermando la Cina, che per anni ha trainato il mercato con ricavi da capogiro, trascinando i volumi delle maison francesi e italiane. Ma zoppica anche l’Europa, che ha un ruolo minore nell’espansione globale dell’industria.

Il rallentamento dell’economia e i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori stanno danneggiando i profitti di giganti come Kering e Lvmh, portando molti a chiedersi: la moda di lusso è destinata a fallire o è solo un’anomalia temporanea? Un rapporto della società di consulenza strategica McKinsey prevede un rallentamento che potrebbe protrarsi per altri tre anni. Il tasso di crescita globale dell’industria del lusso sarà solo dell’1-3% tra il 2024 e il 2027, trainato solo dai mercati mediorientali e dall’India. Ma a cosa è dovuta la frenata cinese? Il calo delle vendite in parte è legato alla recente condanna da parte dei consumatori e del governo di Pechino dell’ostentazione della ricchezza («luxury shame»), che sta dirottando la domanda verso prodotti più “discreti” e accessibili. Sta anche avvenendo un cambio profondo nelle abitudini dei consumatori.

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Il gruppo Lvmh, di cui fanno parte Chanel, Dior e Louis Vuitton, nel terzo trimestre 2024 ha registrato un calo delle vendite del 5% – Foto © GettyImages (3)

L’attenzione si sta spostando da orologi e abbigliamento alle esperienze di benessere e di viaggio. Stiamo assistendo a un mutamento culturale nella struttura dei consumi, una modifica degli stili di vita che ha portato il valore dell’esperienza a superare la gratificazione legata all’acquisto di beni. Non c’è più l’affezione per un brand o un oggetto in particolare. Questa ricerca di valore senza perdere di vista il tema del prezzo sta facendo crescere segmenti come il resale, l’off-price e i dupes. Cioè, i prodotti che sono molto simili ad altri di grande tendenza, creati da brand meno famosi e con lo scopo di farsi acquistare da chi desidera aderire a una certa estetica, senza però necessariamente possedere il prodotto originale.

Questa ricerca di valore senza perdere di vista il tema del prezzo sta facendo crescere segmenti della moda come il resale, l’off-price e i dupes

Anche i marketplace online di massa stanno vivendo momenti di difficoltà. I consumatori sul canale digital sperimentano sempre di più quella che viene chiamata «paralisi delle scelta»: sopraffatti dall’ampia offerta online di prodotti tra cui scegliere, si sentono inibiti più che entusiasti e rifuggono l’acquisto. In quest’ottica lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sarà cruciale per migliorare la scoperta dei prodotti e semplificare il percorso d’acquisto, creando esperienze sempre più personalizzate e simili a quelle di uno stylist digitale. Ma non è ancora arrivato il momento.

Meno acquisti, dunque, con il risultato che solo un terzo del settore del lusso ha registrato una crescita positiva. Alcuni dei problemi dell’industria hanno origini interne. Quando la domanda è salita alle stelle qualche anno fa, le aziende hanno aumentato la produzione e i prezzi. La crescita del settore è stata guidata principalmente dai prezzi e non dagli aumenti di volume. L’innovazione non ha tenuto il passo. Allo stesso tempo una nuova generazione di marchi emergenti ha iniziato a crescere mentre gli acquirenti cercavano altre opzioni. Prada ha registrato, ad esempio, vendite senza precedenti grazie a un marchio più piccolo di sua proprietà: Miu Miu. Durante il terzo trimestre del 2024, i ricavi di Prada sono aumentati del 18%, mentre quelli di Miu Miu del 105%.

Non è un dettaglio, dunque, che i dirigenti del lusso abbiano una prospettiva ribassista anche a causa di possibili nuove tariffe dagli Stati Uniti. L’anno che verrà sarà molto probabilmente ancora turbolento. D’altronde il 2024 per la moda non è stato facile.

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Gucci, in passato marchio “traino” di Kering, si è distinto per i risultati negativi – Foto © Getty Images

Guardiamo i numeri. Il colosso mondiale del lusso Lvmh ha registrato nel terzo trimestre dell’anno un calo delle vendite del 5%, con un vero e proprio crollo se si guardano i numeri dell’Asia: nel 2021 (escludendo il Giappone) contava per il 35% del fatturato di Lvmh, ora per il 6%. Anche Kering, l’altro grande gruppo della moda e principale rivale del gigante guidato da Arnault, non se la passa benissimo, specialmente se si guarda al mercato asiatico: nel 2021 realizzava il 38% delle vendite nell’Asia non giapponese, nei primi sei mesi del 2024 la quota è scesa al 32%.

I brand peggiori sono stati Dior per Lvmh e Gucci per Kering. Non ci sono segnali che fanno sperare che il rallentamento della Cina sia al tramonto, ma ci sono degli indizi che già oggi fanno pensare che ci saranno delle sorprese in Asia. Il Giappone è attualmente – e ci si aspetta lo sarà ancora – nel mezzo di un boom del lusso, mentre l’India potrebbe rappresentare un caso interessante dato che i brand potrebbero essere spinti a cercare mercati alternativi a Pechino. Il calo delle vendite del quarto trimestre di Kering si confronta però con il +10% di Richemont, il +12% di Brunello Cucinelli e il +3% di Zegna. La flessione di Ferragamo e Burberry è stata del 4%.

«Si è sbagliato negli ultimi anni ad alzare tanto i prezzi, visto che era facile», dice Andrea Guerra, Ceo del gruppo Prada. Per il manager la soluzione è «offrire prodotti di qualità, raccontando una storia ed essendo credibili». Da sempre poi si parla dell’importanza per i brand di stabilire una relazione con i consumatori giovani, ma se a fare la differenza fossero i loro genitori? I giovanissimi hanno di norma meno disponibilità economica e quelli nati dopo il 2000 ne hanno meno rispetto ai loro predecessori.

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In controtendenza, nel quarto trimestre 2024, le vendite di Cucinelli sono salite del 12% – Foto © Getty Images

Per questo, secondo i dati evidenziati nel report, le maison e i gruppi del lusso dovrebbero puntare sulla Silver Generation, ovvero le persone con più di 50 anni d’età che rappresentano anche il 25% della popolazione mondiale. Sono più ricchi dei ragazzi, sono una fetta della popolazione destinata ad aumentare (entro il 2050 si stima saranno più di un terzo delle persone sulla Terra) – complice anche l’aumento dell’aspettativa di vita e il parallelo declino delle nascite – e sono anche consumatori più fedeli: solo il 33% degli over 50 tende a cambiare spesso brand quando fa shopping, contro il 50% della Generazione Z che ama invece sperimentare e scoprire nuovi marchi.

A questo si aggiunge che anche le abitudini dei consumatori stanno cambiando: oggi spendono meno e in maniera più oculata, con oltre il 60% delle persone intervistate che dichiara di cercare frequentemente di risparmiare soldi sui vestiti, le scarpe e gli accessori. Questo atteggiamento sta portando sempre più i consumatori a rivolgersi al mercato del second-hand. Entro il 2025, le vendite di articoli di seconda mano rappresenteranno il 10% del mercato globale dell’abbigliamento e, secondo le stime, questo segmento potrebbe ingrandirsi a un tasso di crescita annuale del 12% per raggiungere i 350 miliardi di dollari entro il 2028.


I riassetti del made in Italy

Se il 2024 è stato un anno di grande fermento, sul fronte finanziario, per le griffe tricolori, il 2025 non si prospetta da meno

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Anche Dolce & Gabbana in passato non ha escluso la possibilità di trovare un alleato finanziario per sostenere il piano di crescita – Foto © Getty Images

Tod’s quest’anno ha deciso di lasciare la Borsa italiana con l’aiuto del fondo L Catterton per lavorare su strategie di lungo periodo, lontano dall’ansia trimestrale. Remo Ruffini si è alleato con Lvmh per blindare il suo controllo su Moncler, proteggendo il gruppo dei piumini da mire indesiderate.

Ancora, la holding BasicNet della famiglia Boglione ha aperto il capitale di K-Way al fondo Permira per accelerarne i piani di crescita e valorizzare il lavoro fatto sul marchio, comprato nel 2004 dal quasi fallimento e portato in 20 anni a una valutazione di 500 milioni.

Altri riassetti importanti sono attesi nel 2025. È il caso di Versace. Dopo la mancata fusione con Tapestry, il gruppo statunitense Capri Holdings ha deciso di affidare a Barclays l’incarico di trovare un compratore per la Medusa e per Jimmy Choo, al fine di concentrare le risorse su Michael Kors. La cessione dei due marchi era già stata esplorata prima dell’intesa con Tapestry, affondata dall’Antitrust americana, preoccupata per «il monopolio delle borsette». Allora per Versace si erano fatti avanti Kering ed Exor che, per motivi diversi, è difficile si presentino al secondo turno.

Il dossier sarebbe approdato su molti tavoli, tra i quali anche quello di Prada. Anche Lvmh non avrebbe mostrato interesse, perché in quella fascia del lusso già possiede Dior. Più probabile che stavolta possa farsi avanti un fondo di private equity o un fondo sovrano. Fondi sovrani come Gic, Qatar Investment Authority e Pif avrebbero già bussato alla porta di Dolce & Gabbana, che in passato non ha escluso la possibilità di trovare un alleato finanziario con una piccola quota, per sostenere il suo piano di crescita. Ma riassetti sono all’orizzonte anche tra diversi marchi con fatturati inferiori. Sui mercati si fanno i nomi di Furla e Pinko. E operazioni di M&A potrebbero toccare Sergio Rossi, Twinset ed Etro.


Articolo pubblicato sul numero di Business People di marzo 2025. Scarica il numero o abbonati qui

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