Poste Italiane è ufficialmente diventato il primo azionista di Telecom Italia. Con un’operazione dal valore complessivo di 684 milioni di euro, il gruppo guidato da Matteo Del Fante ha acquistato una quota del 15% da Vivendi, portando la propria partecipazione al 24,81% del capitale con diritto di voto di Tim. Il passaggio di consegne, avvenuto tra fine marzo e l’inizio del primo semestre del 2025, segna un nuovo equilibrio nell’azionariato della principale compagnia telefonica italiana e rafforza l’influenza dello Stato nella gestione di un’infrastruttura considerata strategica.
Si tratta di una mossa rilevante non solo sul piano industriale, ma anche su quello politico ed economico: Poste Italiane è una società partecipata dallo Stato, controllata per oltre il 65% tramite Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’operazione si inserisce in un contesto di riassetto complessivo del settore delle telecomunicazioni italiane, da anni in crisi di identità e competitività, e arriva in un momento in cui Tim cerca di uscire da una lunga fase di debolezza, marcata da tensioni interne, debiti elevati e una governance instabile.
L’accordo con Vivendi
Le trattative tra Poste Italiane e Vivendi hanno preso forma in modo concreto all’inizio del 2025, ma la direzione dell’operazione era stata preparata nei mesi precedenti. Vivendi, entrata nel capitale di Tim nel 2015 con ambizioni di guida strategica, ha progressivamente ridotto la propria partecipazione dopo aver incassato diversi insuccessi e contrasti con il management della società. Durante questo mese ha dismesso una prima quota superiore al 5% vendendola sul mercato, scendendo così dal 23,75% al 18,4%. Il 29 marzo è stato formalizzato l’accordo con Poste Italiane per la cessione di un ulteriore 15%, che ha portato Vivendi a una partecipazione residuale del 2,5%.
Come abbiamo già detto, il valore dell’operazione è stato di 684 milioni di euro, con un prezzo per azione pari a 0,2975 euro, in linea con le quotazioni di mercato. Poste ha comunicato che il pagamento sarà effettuato interamente tramite liquidità disponibile, senza far ricorso a nuovo debito. Come dichiarato dallo stesso gruppo attraverso una nota ufficiale (e un relativo comunicato stampa) l0obiettivo è quello di assumere un ruolo di azionista industriale di lungo periodo, in grado di incidere sulle strategie di rilancio di Tim e di valorizzare le sinergie tra le due realtà.
L’operazione è soggetta, come da prassi, alla notifica all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’acquisizione dovrebbe perfezionarsi entro la fine del primo semestre, con l’obiettivo di consentire a Poste Italiane di partecipare all’assemblea degli azionisti del 24 giugno come azionista di maggioranza relativa, appena al di sotto della soglia del 25% che farebbe scattare l’obbligo di Opa.
Una mossa strategica
Il rafforzamento di Poste Italiane in Tim è una manovra strategica su più livelli: innanzitutto, si inserisce in un disegno di sistema volto a consolidare la presenza pubblica in un settore critico per la sovranità digitale del Paese. Tim, infatti, gestisce infrastrutture fondamentali per le comunicazioni italiane, tra cui la rete fissa nazionale, ed è il principale operatore per servizi cloud alla pubblica amministrazione. Il controllo da parte di un soggetto pubblico come Poste risponde quindi anche a logiche di sicurezza e tutela degli interessi nazionali.
L’operazione però ha anche forti implicazioni industriali, perché Poste Italiane è presente nel settore delle telecomunicazioni tramite PosteMobile, operatore virtuale con oltre cinque milioni di utenti. Dunque, l’accordo con Tim apre la strada al passaggio dei servizi mobili di Poste dall’infrastruttura Vodafone a quella dell’ex monopolista telefonico, con un accordo di accesso previsto a partire dal 1° gennaio 2026. Questo passaggio permetterà un’integrazione più profonda tra le due aziende e una riduzione dei costi operativi.
Non si tratta solo di telefonia. Poste è interessata a sviluppare collaborazioni in ambiti più ampi: servizi finanziari e assicurativi, pagamenti digitali, contenuti media e perfino energia. Inoltre, come maggior utente di servizi cloud in Italia, con circa 800 milioni di euro investiti all’anno in tecnologie digitali, l’impresa pubblica può diventare un alleato naturale per Tim nel rafforzare la sua posizione nel settore. Il governo ha inoltre espresso più volte l’intenzione di promuovere una riduzione del numero di operatori infrastrutturati nel mercato mobile da quattro a tre, e la presenza di Poste in Tim potrebbe facilitare future fusioni, come quella ipotizzata con Iliad.
Il passato e il futuro
Negli ultimi dieci anni, la presenza di Vivendi in Tim è stata segnata da forti turbolenze. Il colosso francese era entrato nel capitale della società italiana con l’obiettivo di integrarla nel proprio ecosistema di media e telecomunicazioni, ma le cose non sono andate come previsto. Diversi piani industriali sono naufragati, e lo scontro con il fondo attivista Elliott nel 2018 ha sancito l’inizio di un progressivo disimpegno.
Vivendi si è opposta con forza alla vendita della rete fissa a Kkr, considerandola una perdita del principale asset strategico di Telecom Italia. Ciononostante, il piano presentato dall’amministratore delegato Pietro Labriola è andato avanti, culminando nel 2023 con l’accordo per lo scorporo della rete e la sua cessione al consorzio statunitense. Vivendi, ormai isolata e con una forte minusvalenza sul proprio investimento, ha infine deciso di uscire definitivamente dal capitale della società.
Poste, dal canto suo, si è inserita in questo vuoto con determinazione e pragmatismo: dopo aver rilevato una quota del 9,81% da CDP a febbraio, ha completato la scalata fino al 24,81% in poche settimane, posizionandosi come nuovo arbitro delle strategie di Telecom Italia. Il prossimo passaggio sarà capire come questa nuova governance influirà sulle scelte future: dalla composizione del consiglio di amministrazione, che sarà rinnovato a breve, fino all’eventuale rilancio industriale e alla gestione dei rapporti con gli altri azionisti.
L’obiettivo del governo è chiaro: riportare sotto influenza italiana un’infrastruttura ritenuta essenziale, garantendo allo stesso tempo stabilità e sviluppo a un settore cruciale per la competitività del Paese. La partita è ancora aperta, ma con Poste alla guida, Tim sembra avviarsi verso una nuova fase.
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