«La bandiera dell’austerità è stata eretta per recuperare credibilità e noi abbiamo dimostrato di saper fare sacrifici. Ma se rigorismo e austerità mettono in ginocchio la tenuta sociale e il patrimonio delle nostre imprese costruito in decenni di duro lavoro affinché altri possano fare shopping portandosi a casa i nostri pezzi migliori a prezzi di saldo, la soluzione si trasforma in problema e dobbiamo dire no». È questo il monito che il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, lancia all’Italia, ma soprattutto all’Europa. Il numero uno degli industriali, intervenuto all’assemblea di Assolombarda per l’insediamento del nuovo presidente Gianfelice Rocca sottolinea come vi è un «errore di fondo» nella gestione della crisi europea, e quindi italiana, caratterizzata da una «politica di rigore a dir poco miope» che ha dimenticato che «solo la crescita può sostenere il rigore finanziario».
Squinzi rimprovera all’Europa di aver riservato all’Italia «un trattamento che non tiene conto dei suoi fondamentali positivi» che ha condotto le imprese italiana ad una situazione insostenibile, quantificabile in un una flessione dei ricavi pari a 100 milioni al giorno, con un calo della produzione industriale che prosegue da 20 mesi consecutivi, confermati dal -4,6% di aprile.
Un trattamento immotivato secondo il numero uno di Confindustria. «Se mettiamo a confronto il debito estero e il debito sottoscritto dagli italiani e lo rapportiamo alla ricchezza delle famiglie, che è il vero asset, l’Italia sta ben al di sotto il 100% che separa l’area della sostenibilità da quella della insostenibilità, dove troviamo i paesi che falliscono o rischiano di fallire». Squinzi ha anche puntato il dito anche contro la barriera del 3% nel rapporto deficit/Pil: «Come per il debito pubblico, il rapporto andrebbe tarato sulla ricchezza complessiva della nazione».
Non solo, Squinzi respinge anche le critiche che da Bruxelles descrivono l’Italia come un Paese privo di innovazione e di competitività: «Non si cresce per colpa di politiche insopportabili e le imprese non sono il male, piuttosto la soluzione. L’industria italiana è viva e lotta per il destino dell’intero Paese, non per sé stessa».
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