E se ci fossero più incentivi, più possibilità e più capitale per il workers buyout (Wbo)? È la domanda a cui vorrebbe dare risposta un consorzio formato da formato da Amundi, CoopFond e The European House – Ambrosetti, con l’ipotesi della creazione di un fondo ad hoc per quello che è un meccanismo virtuoso, in grado di difendere produzione e occupazione.
Come si legge su Affari & Finanza de La Repubblica, l’iniziativa verrà presentata nei prossimi giorni e sarà preceduta dalla divulgazione del report L’impatto economico e sociale dei Workers Buyout in Italia realizzato dai ricercatori di The European House – Ambrosetti, che sottolinea proprio l’importanza di sostenere questo modello sempre più in grado di salvare aziende in crisi e preservare posti di lavoro.
L’obiettivo è quello di raccogliere un ammontare complessivo di circa 200 milioni di euro per sostenere, in un arco temporale di dieci anni, investimenti in circa 25 WBO su piccola e media scala. La struttura del fondo si propone di intervenire in due fasi distinte: nella prima fase acquisterà il complesso aziendale e i macchinari necessari per l’attività produttiva.
Successivamente, gli asset saranno affittati alla cooperativa formata dai lavoratori, con l’opzione per questi ultimi di rilevare la proprietà completa alla fine del periodo di affitto, pari a circa dieci anni. Tale approccio mira non solo a ridurre l’indebitamento iniziale dei lavoratori (una delle principali sfide per le cooperative WBO) ma anche a consentire investimenti in nuove tecnologie e ammodernamenti necessari per migliorare la competitività aziendale.
Come spiegato sempre sulle pagine del quotidiano da Giovanni Di Corato, Ceo di Amundi RE Italia Sgr, il fondo rientrerebbe anche «nel quadro di una filiera orientata verso gli impact investing. Attraverso il track record di queste aziende, ci si può rendere conto che l’investimento non è affatto un percorso disastroso. I dati permettono di verificare come queste società abbiano dimostrato un buon livello di resilienza, e limitati casi di default, e anche crescita di fatturato».
Dunque, questo nuovo strumento avrebbe una duplice finalità: da un lato, generare un impatto sociale positivo e misurabile, garantendo la stabilità e il mantenimento dell’occupazione; dall’altro, ottenere un rendimento economico sostenibile per gli investitori. Inoltre, l’iniziativa non mira solo a supportare le aziende in crisi economica, ma anche quelle a rischio di chiusura per problemi di ricambio generazionale, come quelle prive di eredi disposti a rilevare l’attività familiare.
Secondo stime di settore, oltre 50.000 PMI italiane vulnerabili o già fallite generano un fatturato di circa 91 miliardi di euro. Il fondo potrebbe quindi diventare uno strumento prezioso per sostenere la successione aziendale, preservando il tessuto produttivo del Paese. Negli ultimi anni, in Italia, il modello del workers buyout si è consolidato: dal 2011 al 2023, sono state recuperate 93 imprese, coinvolgendo circa 2.436 lavoratori.
Questo tipo di operazione consente ai dipendenti di rilevare la proprietà aziendale, in parte grazie al sostegno pubblico previsto dalla Legge Marcora (n. 49/1985), che ha istituito il supporto di Cooperazione Finanza Impresa (Cfi), una società partecipata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Cfi ha contribuito in modo significativo al successo dei workers buyout con oltre 250 interventi, finanziati grazie a fondi pubblici e a un patrimonio netto di circa 102 milioni di euro. I risultati dimostrano che i Wbo offrono una stabilità duratura e mantengono in vita il 77,4% delle imprese coinvolte, con una media di sopravvivenza superiore a quella delle aziende tradizionali.
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