Una notizia tanto complessa da digerire quanto storica: dopo ben 87 anni Volkswagen sta considerando di chiudere alcuni siti tedeschi del suo marchio facendo cessare le attività e mettendo a rischio moltissimi posti di lavoro. Si tratta di una prima volta in senso assoluto, perché fino ad adesso gli stabilimenti in Germania sembravano al sicuro nonostante la diffusa crisi dell’automobile.
Con un apposito comunicato stampa, l’amministratore delegato Oliver Blume ha dichiarato che «il clima economico è diventato ancora più difficile e nonostante i primi sei mesi del 2024 fossero in pari, nuovi operatori stanno entrando in Europa. Ciò si riflette sulla Germania, che sta perdendo terreno in termini di competitività come sede di produzione».
Sempre per mezzo del comunicato il consiglio di amministrazione ha fatto sapere di non poter più escludere la chiusura di impianti nel Paese. È stato sottolineato, per altro, che da tempo la redditività del marchio Volkswagen ha subito grossi contraccolpi e ha perso anche rispetto ad altri brand del gruppo come Audi, Skoda e Seat. Alla luce di tutto questo, secondo i dirigenti è essenziale spingere ancor di più sulla riduzione dei costi.
Attualmente, pare che l’azienda debba tagliare 10 miliardi di euro di costi entro il 2026. Non è ancora chiaro quali e quante fabbriche e/o stabilimenti siano a rischio, anche se degli insider hanno rivelato a Bloomberg che nel mirino ci sarebbero un impianto di produzione di componenti giudicato obsoleto e una delle fabbriche più grandi, rimasta però indietro in termini di innovazione e aggiornamenti.
La crisi Volkswagen non si ferma qui, però. Sempre secondo gli insider, infatti, si starebbe valutando anche il patto stipulato nel 1994 con i sindacati. Un patto che sulla carta doveva congelare i licenziamenti fino al 2029, ma che adesso sarebbe debilitante per la società, che non sta ottenendo i benefici sperati mettendo in atto i tentativi di ridurre la forza lavoro con i pensionamenti anticipati e gli incentivi alle uscite volontarie.
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