Il cambio euro-dollaro continua a veleggiare verso quota 1,25. È un’informazione che può lasciare indifferente l’uomo della strada ma che invece, comprensibilmente, interessa molto investitori e trader. Perché? Perché il tasso di cambio, cioè il rapporto tra due valute, non racconta solo il presente ma consente di poter prevedere uno scenario probabile nel futuro prossimo, dal momento che quel valore incorpora anche le aspettative degli operatori del mercato.
Nell’ultimo anno, l’euro ha guadagnato valore sul dollaro. Il 6 febbraio 2017, un euro valeva 1,0748 dollari. Alle 10 di mattina del 5 febbraio 2018, invece valeva 1,2465 dollari. Il che vuol dire che oggi con un euro si possono ottenere più dollari rispetto a un anno fa o, viceversa, che ci vogliono più dollari per comprare un euro. In gergo, si dice che la divisa europea si è apprezzata.
Come tradurre questa informazione tecnica e asettica in un qualcosa di più comprensibile o, in parole ancora più semplici, cosa ci dice questo dato? Ci dice molto sulle aspettative circa alcuni avvenimenti che potrebbero verificarsi nei prossimi mesi sui quali stanno prendendo posizione gli investitori, i quali sembrerebbero aspettarsi la fine di quell’esperimento di politica monetaria che è stato il Quantitative Easing, per questo stanno comprando attivi e posizioni in euro, facendo crescere il valore di questa moneta rispetto al dollaro.
Il Quantitative Easing, altrimenti detto “allentamento quantitativo”, è un’operazione di politica monetaria non convenzionale con la quale la Banca centrale europea, seguendo l’esempio della Bank of Japan, della Federal Reserve e della Bank of England, ha inondato i mercati di liquidità, per ottenere due scopi: tenere i tassi di interesse praticamente a zero e stimolare la ripresa economica attraverso erogazione di credito a buon mercato. Ora ci si aspetta che i tassi, finita la festa, torneranno a crescere. Ed è proprio questo lo scenario evocato dal governatore della Banca centrale austriaca, Edwald Nowotny.
Lo stesso dollaro, tra il 2014 e il 2015, quando il rallentamento del Quantitative Easing, sembrava più di un’ipotesi, aveva avuto un consistente rally. Ma a spingere molti investitori tra le braccia dell’euro, c’è anche la percezione diffusa che l’Eurozona dopo anni di stagnazione sia in procinto di tornare a crescere economicamente.
L’andamento del tasso di cambio euro-dollaro racconta di una certa fiducia circa le prospettive di crescita economica in Europa e un po’ di freddezza verso quelle americane. Naturalmente, nulla esclude che il dollaro possa effettuare il cosiddetto rimbalzo. La politica fiscale varata dal presidente Usa Donald Trump potrebbe avere degli effetti sorprendenti e il rimpatrio di capitali deciso da un colosso come Apple, se non rimanesse un unicum, potrebbe avere effetti notevoli sulla moneta statunitense e, quindi, sui mercati.
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