Diciamo la verità. Quando un paese attraversa un periodo di crisi economica c’è chi piange, ma in molti se la ridono. Sono quelli che, nel periodo delle vacche grasse sono riusciti a crearsi quella riserva di liquidità (o di garanzie per le banche) che gli permette di fare affari d’oro comprando i concorrenti o espandendosi all’estero. Uno di quelli che se la ride è Sergio Marchionne che, dopo aver miracolosamente salvato la fiat portandola a guadagnare 2 miliardi l’anno da una perdita analoga solo quattro anni prima, adesso è preso sul serio quando va in giro per il mondo per fare shopping. Ma Marchionne, sostenuto da un sistema-Paese e da un sistema bancario sul quale pochi altri possono contare, non è l’unico a mettere a segno affari in un periodo economico in cui la vulgata afferma che a tutto bisogna pensare tranne che a muoversi. E come la Fiat sono decine, se non centinaia, le aziende che comprano, comprano, comprano. Per prenotarsi un posto in prima fila quando ci sarà la ripresa, oppure per impiegare la liquidità accumulata, per aggiungere un “pezzo” alla propria catena del valore o anche perché se non si compra ora, quando? Cominciamo con i dati. È vero, come afferma la ricerca della Kpmg Corporate Finance, che nel 2007 il valore delle operazioni in Italia è crollato, passando da 148 miliardi del 2007 a 56 del 2008 perdendo quasi due terzi del proprio valore, ma è anche vero che il numero delle operazioni è addirittura salito: da 459, che è stato il record da 10 anni a questa parte, a 495, nuovo record. Insomma, gli avvocati d’affari, i consulenti, i commercialisti possono stare tranquilli perché per loro il 2008 è stato comunque un anno da incorniciare: più affari anche se di minore importo. Se poi si chiede alla Kpmg i dati sul primo trimestre del 2009, si scopre che le operazioni sono tracollate da 21 a 3 miliardi di controvalore mentre in termini numerici sono passate da 77 a 46. «Sono in fase riflessiva i fondi di private equity» spiega Max Fiani, partner responsabile della Kpmg Corporate Finance precisando però che tra aprile e maggio (mese sul quale occorrerà soffermarsi più avanti) «si sono registrati segnali di ripresa». Le operazioni censite fino a maggio 2009 sono 61 per un controvalore di 9,1 miliardi di euro. Tre di queste hanno superato il miliardo di euro: una realizzata dall’estero in Italia, una dall’Italia verso l’estero e una all’interno del mercato italiano. Ovvero: la russa Gazprom ha comprato il 20% di JSC Gazprom Neft (Gruppo Eni) per 3 miliardi; l’Eni ha comprato la Distrigaz belga per 1,9 miliardi e Terna ha comprato la rete elettrica di Enel per 1,1 miliardi. L’acquisto della Chrysler da parte della Fiat non è considerato, visto che (capolavoro) è avvenuto a costo zero. Naturalmente è legittimo mettere in discussione l’opportunità stessa di comprare. Ecco come la mette Fiani per spiegare che “comprare necesse est”: «Il nanismo rimane uno dei temi che incide di più sulla competitività del nostro Paese. Basti pensare che in media la produttività di una piccola impresa è circa la metà di quella di una grande azienda. Per rimanere competitivi in uno scenario come quello che si va delineando serve capacità di innovazione nel modello di business ed eccellenza diffusa in termini di know how. Certo la dimensione da sola non basta ma in molti casi è il prerequisito per un recupero di competitività». In effetti, a parte il caso di Safilo, nella stragrande maggioranza dei casi sono aziende che comprano altre aziende. Ovvero: aziende che vogliono crescere seguendo il consiglio di Fiani e che danno vita a un movimento sotterraneo che è straordinariamente frenetico. Altro che stare fermi! Perché straordinariamente frenetico? Semplice: da una parte ci sono quelle che vogliono comprare, e hanno un surplus di dossier sui tavoli da verificare uno per uno, dall’altra quelle che cercano un compratore, e spesso non riescono a trovarlo. In mezzo ci sono le banche che, in assenza, o quasi, di altri intermediari scottati dalla crisi, sono rimaste i veri arbitri del mercato. Siccome i loro finanziamenti sono centellinati, il risultato è che su dieci potenziali operazioni ne vanno in porto due invece delle “normali” sette o otto e che per mettere la firma su un contratto finale si lavora il triplo di prima.
In Italia
A incuriosire è anche il fatto che se si va a ritroso a vedere chi ha comprato cosa e quando si scopre che il mese di maggio 2009 verrà ricordato come quello che ha visto un numero straordinario di operazioni concluse. Difficile spiegare perchè ma probabilmente il motivo consiste nel fatto che, dopo la chiusura delle trimestrali e la loro approvazione da parte dei consigli d’amministrazione, prede e predatori, che si stavano già osservando da lontano, hanno accelerato la marcia di avvicinamento e sono convolati a nozze. Proprio a maggio c’è stata un’operazione passata un po’ troppo sotto silenzio e che invece rappresenta la quint’essenza del consolidamento. La Coswell, società attiva nella cura della persona (i marchi più famosi sono L’Angelica, Blanx, Bionsen) che ha comprato la Prep, la cui schiuma da barba imbianca le facce degli italiani da decenni. Sempre a maggio c’è stato il big bang del caffè: la Cimbali di Binasco ha comprato la bolognese Casadio, specializzata in macinadosatori; la Saeco è pronta per passare all’olandese Philips per 200 milioni (a vendere è il fondo francese di private equity Pai) e la Goldman Sachs ha comprato il 95% di Bianchi Vending, azienda specializzata nella produzione di macchine per il caffé sia professionali sia per il piccolo consumatore. Come mai il boom di operazioni alla caffeina? Semplice: non è solo che gli italiani sono particolarmente nervosi e aumentano il consumo di caffé, ma anche, e più realisticamente, il fatto che il prezzo della materia prima è letteralmente esploso negli ultimi anni e ha accelerato il consolidamento degli operatori del settore. Più o meno nello stesso mese c’è anche stato un altro importante consolidamento, questa volta nel settore del turismo con la Blu Holding che ha fatto sua la Cisalpina Tours. A sentire chi l’acquisizione l’ha realizzata sembra che sia tutto molto facile. Michele Gualandi, numero uno della Cosweel spiega: «Abbiamo valutato la Prep e il prezzo richiesto dal venditore, abbiamo sviluppato un business plan, abbiamo presentato il progetto a una banca a cui il progetto è piaciuto e che ci ha concesso un finanziamento a cinque anni. Detto così sembra semplice, mi rendo conto, ma non lo è stato affatto. Certamente noi siamo sta ti molto rapidi». E aggiunge: «Prep è un marchio storico con un’altissima riconoscibilità e subito, da quando ci è stato segnalato, abbiamo pensato che fosse perfettamente coerente con la nostra strategia aziendale e che nel nostro portafoglio avrebbe potuto essere sviluppato sia il fatturato sia la distribuzione. Ma soprattutto abbiamo pensato che avremmo potuto ampliare la gamma prodotti attraverso il lancio di nuove referenze anche in segmenti di mercato diversi da quelli attualmente coperti». Ma esiste un segreto per un’acquisizione da manuale? «Certamente una due diligence di qualità e la capacità di decidere e chiudere la trattativa in tempi veloci, oltre a un buon contratto possono fare la differenza per il successo».
… E all’estero
Poi ci sono le aziende che vanno all’estero a sfogare le proprie manie di crescita. Tra queste è la Pierrel, uno dei principali operatori in Italia nella produzione di anestetici locali dentali. Il gruppo Pierrel opera principalmente nell’outsourcing a servizio delle aziende farmaceutiche. A fine maggio ha siglato un’intesa per comprare l’americana Encorium (8,4 milioni fatturato) per 1,8 milioni di dollari. Un’operazione sottovalutata, anche per gli importi non stratosferici, ma che fa diventare la Pierrel l’unica società europea attiva su scala mondiale nella ricerca, sviluppo e di supporto per test clinici delle principali case farmaceutiche mondiali. Prima di parlare di quella che è probabilmente la più importante acquisizione all’estero (dopo quella della Fiat) di un’azienda italiana, occorre citare anche gli 11 milioni che la Save (Aeroporti di Venezia) ha investito per comprare, attraverso un consorzio del quale possiede il 65%, il 27,65% (incrementabile fino al 48,33%) della Bsca, società che gestisce l’aeroporto belga di Charleroi. Alla faccia della crisi dei trasporti aerei. Ma gli esempi di acquisizioni di successione non si fermano qui. L’emiliana Ima ha, alla fine dell’anno scorso, comprato la Ima Edward e la cinese Edwards Pharmaceuticals System e la sempre emiliana Manutencoop (controllata dalla Lega delle cooperative) ha acquistato un pezzo della Pirelli Real Estate, ovvero la parte che si occupa di facility management, vincendo il premio per la migliore acquisizione dell’anno (2008) consegnato proprio dalla Kmpg. E perfino la Parmalat, per molto tempo con un piede in tribunale, ha realizzato un’acquisizione da 40 milioni in Australia comprando alcune attività della National Foods. Poi ci sono i big. I veri grandi. Una di questi è l’Eni, che a ottobre dell’anno scorso è stata autorizzata dalla Ue all’acquisto per 2,7 miliardi di euro, della belga Distrigaz ma, soprattutto, c’è la Campari che ha pagato 417 milioni di euro per la Wild Turkey messa in vendita dalla Pernod Ricard. L’ennesima acquisizione che ha reso il gruppo italiano un globe trotter delle acquisizioni. Un po’ come la Brembo che, tra ottobre 2008 e febbraio 2009, ha realizzato ben due acquisizioni in Brasile (freni per auto) e India (freni per moto). Si fermerà? Alberto Bombassei non sembra averne nessuna voglia: «Nel settore automotive ci sono molte aziende in vendita e noi le stiamo analizzando con la stessa cautela di sempre». Semmai, spiega, «il difficile in questo momento è possedere la capacità di visione di medio periodo, due o tre anni, e quindi di comprendere oggi se un’acquisizione sarà utile e redditizia». Bombassei, come Marchionne, ha compiuto il miracolo di realizzare operazioni senza sborsare un euro. «Abbiamo realizzato una joint venture con la tedesca Sgl, azienda specializzata nel carbonio, per ampliare il mercato di applicazione dei dischi freno in carboceramico, materiale leggero, performante ed ecologico. Questa operazione, ad esempio, non ha richiesto alcun esborso di cassa e sicuramente nei prossimi anni darà molte soddisfazioni».
Al contrario
Naturalmente ci sono anche le operazioni che vanno in senso uguale e contrario, ovvero aziende italiane che finiscono in mani straniere. A parte la Basf che ha comprato la ciba, forse nessuno vi ha detto che da pochi mesi una delle nostre più grandi imprese nel settore meccanico è diventata cinese. Si tratta della Cifa, comprata dalla cinese Zoomlion guidata dall’ex professore di matematica Zhan Chunxin che in 17 anni è diventato numero uno del leader mondiale nel settore dei macchinari per l’edilizia. Per la Cifa ha sborsato 511 milioni di euro. Colonizzazione? «Io non vedo nessun rischio di colonizzazione», dice Gualandi della Coswell anche perché, spiega Fiani, «in questi anni, sotto l’onda d’urto dei processi di globalizzazione, abbiamo assistito a un processo di ristrutturazione del nostro sistema produttivo che ha comportato una “selezione darwiniana” all’interno di alcuni settori. Le aziende più competitive sono cresciute e hanno inglobato quelle più deboli spesso all’interno dello stesso distretto. In genere, però, l’imprenditoria italiana dovrebbe avere un atteggiamento più proattivo su questi temi. A monte c’è sempre una tema di governance. I nostri imprenditori devono abbandonare la paura di perdere il controllo dell’impresa». Anche se a nessuno piace.
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