“È assolutamente priva di ogni fondamento l’ipotesi che la Repubblica Italiana abbia utilizzato i derivati alla fine degli anni Novanta per creare le condizioni richieste per l’entrata nell’euro”. Attraverso una nota inviata nella mattinata di giovedì 26 giugno il ministero dell’Economia e delle Finanze replica ad alcune indiscrezioni di stampa – riportate da la Repubblica e dal Financial Times – che, dall’analisi della relazione del Tesoro inviata alla Corte dei Conti a inizio 2013, ipotizzavano un rischio di perdite fino a 8,1 miliardi di euro su contratti derivati stipulati negli anni Novanta in vista dell’ingresso del nostro paese nell’Eurozona.
I FATTI. La vicenda riportata dai due quotidiani, come riassume l’agenzia Adnkronos, riguardava la ‘gestione delle passività’ su un totale di contratti da 31,7 miliardi di euro e – in base ai calcoli di esperti indipendenti sui prezzi attuali – avrebbe esposto l’Italia a una perdita potenziale di 8.100 milioni di euro. I quotidiani riportano che nel 1995 l’Italia aveva un deficit di bilancio del 7,7%, mentre tre anni dopo questo livello era sceso al 2,7%, quindi sotto la soglia necessaria per entrare nell’euro. Un calo molto forte, che già in passato aveva suscitato osservazioni critiche all’estero, soprattutto in Germania.
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