Il Ceo di BlackRock, Larry Fink, ha lanciato un avvertimento che scuote i mercati (e la classe politica statunitense): nella sua consueta lettera annuale agli investitori, pubblicata il 29 marzo, ha affermato che il dollaro statunitense, pur avendo mantenuto per decenni lo status di valuta di riserva globale, non può più dare per scontato questo ruolo. Anzi, nel contesto attuale, segnato da un deficit federale crescente e da un debito pubblico fuori controllo, Fink sostiene che a insidiare la sua supremazia saranno gli asset digitali, Bitcoin in testa.
Fink è uno dei personaggi più influenti della finanza globale e la sua opinione non è certo da prendere sotto gamba: ha fondato BlackRock nel 1988, portandola in pochi decenni a diventare la più grande società di gestione patrimoniale al mondo, con asset che nel 2025 superano gli 11.500 miliardi di dollari. Figura centrale a cavallo tra mercati e istituzioni, Fink ha spesso assunto il ruolo di voce della ragione su temi globali, spaziando dal cambiamento climatico alla sostenibilità del debito. Ma il tono di quest’ultima lettera è diverso: più diretto, più preoccupato.
Le parole di Larry Fink
Nella sua lettera aperta, Fink scrive: «Gli Stati Uniti hanno beneficiato del fatto che il dollaro abbia avuto una funzione quale moneta di riserva del mondo per decenni. Ma non c’è garanzia che questo duri per sempre». La riflessione nasce da un’analisi preoccupante sull’andamento del debito americano: «Il debito nazionale è cresciuto tre volte più velocemente rispetto al prodotto interno lordo da quando il conto del debito è iniziato a Times Square nel 1989», dice ancora Fink.
Ma non è tutto: il Ceo di BlackRock ricorda che nel solo 2025, gli Stati Uniti pagheranno più di 950 miliardi di dollari in soli interessi sul debito pubblico e che entro il 2030, senza interventi correttivi, le spese obbligatorie e il servizio del debito potrebbero assorbire l’intera entrata fiscale federale, lasciando il governo senza margini di manovra. Da qui, la domanda che campeggia nella lettera: «Il Bitcoin può erodere lo stato del dollaro come moneta di riserva?». La risposta non è netta, ma è chiara l’apertura a un mondo dove il primato valutario americano possa essere scalfito dalle criptovalute e da altre tecnologie emergenti.
In un altro passaggio, Fink scrive: «L’idea di fondo inespressa è che il capitalismo non stia funzionando e bisogna provare qualcosa di nuovo». È un’ammissione sorprendente, per chi guida una delle roccaforti della finanza capitalistica, ma è anche la premessa per un ragionamento che guarda a come reinventare la crescita economica e la fiducia dei risparmiatori.
Le difficoltà e le tensioni negli Usa
La lettera di Fink arriva in un momento in cui l’economia americana mostra segnali contrastanti: la crescita è rallentata, l’inflazione è stata contenuta rispetto ai picchi del 2022-2023, ma il costo del debito è esploso. Secondo i dati del Congressional Budget Office, il debito federale lordo potrebbe superare i 50.000 miliardi di dollari entro il 2034, con una traiettoria considerata insostenibile da diversi analisti. Allo stesso tempo, è tornato con forza il protezionismo, soprattutto con il riemergere sulla scena politica di Donald Trump.
Pur senza nominarlo esplicitamente, Fink scrive: «Il protezionismo è tornato con forza» e aggiunge che molte economie occidentali stanno vivendo una sorta di sdoppiamento: «Una in cui la ricchezza crea ricchezza, e un’altra in cui le difficoltà creano altre difficoltà». In sostanza, fa un’analisi che mette in relazione tensioni sociali, polarizzazione politica ed evoluzione economica. In questo contesto, l’affidabilità del dollaro come “porto sicuro” potrebbe essere messa in discussione, soprattutto se i mercati globali iniziano a vedere negli asset digitali una protezione contro l’eccesso di indebitamento statale. Bitcoin, in questo schema, non sarebbe più una scommessa marginale, ma una risposta sistemica a uno squilibrio ormai strutturale.
La soluzione
Nonostante il tono allarmato, la lettera di Fink è anche una chiamata all’azione: non propone austerità o tagli draconiani, ma un cambio di approccio, basato su crescita e investimenti. La chiave, secondo il numero uno di BlackRock, è aprire l’accesso ai mercati infrastrutturali anche ai risparmiatori retail, in modo da canalizzare il risparmio privato verso progetti di lungo termine. Nei prossimi 15 anni, il mondo avrà bisogno di circa 68.000 miliardi di dollari in nuove infrastrutture.
Ovviamente, BlackRock vuole guidare questo processo: nel gennaio 2024, il colosso ha acquisito Global Infrastructure Partners per 12,5 miliardi di dollari, rafforzando la propria presenza nei mercati privati. Fink crede che la combinazione tra capitali privati, tecnologia e visione a lungo termine possa aiutare a rilanciare l’economia reale, ridurre la pressione fiscale e contribuire a riequilibrare il sistema. Nel frattempo, la finanza digitale resta sullo sfondo, ma non troppo lontana. Fink non ha detto che il Bitcoin batterà il dollaro. Ma ha detto, chiaramente, che potrebbe. E questo è già molto.
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