Intel, è crisi: scivola sull’AI e crollano le azioni, rimessi in discussione gli investimenti

Rispetto a concorrenti come Nvidia, che ha visto una forte crescita delle azioni grazie alle soluzioni AI, Intel ha registrato una performance decisamente meno brillante

Rispetto a concorrenti come Nvidia e AMD, che hanno visto una forte crescita delle loro azioni, Intel è in forte difficoltà© Shutterstock

È un quadro particolarmente problematico quello di Intel, che fino a cinque anni fa era un vero e proprio colosso del mondo dei chip. Se in passato l’azienda tecnologica era considerata un gigante quasi invincibile nel campo della tecnologia, oggi sembra che la situazione sia cambiata drasticamente: il valore in borsa è sceso a 83 miliardi di dollari e i margini di profitto scesi sotto il 40%, rendendo difficile sostenere gli ingenti investimenti che si prevedevano per il suo piano di rilancio.

La società, che è stata recentemente citata in giudizio dagli azionisti per frode sui titoli, aveva infatti dichiarato di voler spendere circa 100 miliardi di dollari negli Stati Uniti e 80 miliardi in Europa, per costruire nuovi stabilimenti. La costruzione degli stabilimenti avrebbe dovuto far recuperare competitività, ma la scarsità di chip che caratterizzava il mercato solo qualche tempo fa è ora stata sostituita da una fase di sovracapacità. Alcuni progetti, come l’impianto di packaging avanzato in Italia e il centro di ricerca in Francia, sono stati cancellati.

Restano i progetti per gli USA, per la Germania, per la Polonia, per Israele e per la Malesia,  ma i ritardi accumulati e una liquidità in rapido esaurimento potrebbero dare un colpo di spugna a tutti i piani. Il ceo Pat Gelsinger ha intanto confermato il piano di riduzione dei costi da 10 miliardi di dollari entro il prossimo anno, incluso un taglio del 15% della forza lavoro e la sospensione del dividendo.

Guardando il quadro generale, tutte le performance di Intel sono risultano deludenti specie se confrontate a quelle principali concorrenti come Nvidia, Amd e Qualcomm. Proprio il paragone con Nvidia è fra i più spiazzanti: l’azienda ha raggiunto i 2.640 miliardi, cosa che significa, in altre parole, che Intel è diventata 32 volte più piccola rispetto alla concorrente.  Ma qual è il motivo per cui il quadro è cambiato così radicalmente?

Posto che in realtà l’attuale situazione dell’azienda è frutto di una serie di azioni poco oculate e di mosse non proprio azzeccate, forse uno dei motivi più importanti è il fatto che la società ha perso il treno dell’intelligenza artificiale. Intel non ha saputo approfittare delle opportunità offerte dall’AI, cosa che invece Nvidia ha fatto con studi, approfondimenti e innovazioni di spicco.

Si tratta di un errore obiettivamente grave, specie se si considera che il valore attuale dei chip è elevatissimo. Tutti i settori e le società lottano per il predominio tecnologico, dunque Intel avrebbe sin da subito dover restare al passo. Invece, i suoi recenti risultati finanziari di Intel mostrano una serie di obiettivi non raggiunti, oltre che una crisi significativa. Se negli scorsi anni il suo punto forte era il mercato delle CPU, adesso quello stesso mercato sta rallentando in favore della domanda di chip per intelligenza artificiale.

Se il panorama non fosse abbastanza complesso, c’è anche un altro scivolone che peggiora il quadro: Intel ha recentemente perso la licenza per fornire chip alla cinese Huawei, cliente non di poco conto. Ciò ha influito, chiaramente, sul valore delle azioni, che sono diminuite del 60% dall’inizio dell’anno, cosa che ha portato a una conseguenza clamorosa: l’azienda, che è stata la prima società tech insieme a Microsoft ad entrare nell’indice Dow Jones, rischia adesso di uscire.

Il prossimo consiglio di amministrazione potrebbe discutere ulteriori azioni, inclusa la possibile vendita di Altera, una società di chip programmabili acquistata nel 2015, o la chiusura dello stabilimento tedesco, una possibilità che preoccupa Germania e Unione Europea. Le decisioni future si concentreranno probabilmente sui prodotti da prioritizzare, con eventuali cessioni e chiusure di stabilimenti da considerare successivamente. Non si esclude neppure la possibilità di separare il business delle fonderie.

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