Investire fino in fondi

Ormai sono soggetti così attivi e influenti nel panorama economico mondiale, che di colpo possono far cambiare la geografia di interi mercati

Di certo i loro movimenti si fanno sentire sul mercato. Perché, quando si muovono, possono determinare la dinamica dell’andamento di una precisa classe di attivi o cambiare la fisionomia dell’azionariato di una società. Basta guardare ai numeri. BlackRock, il colosso americano delle società di investimento, viaggia su un patrimonio di 4 mila miliardi di dollari, in crescita ben del 12% rispetto all’anno precedente. Un vero e proprio gigante dell’asset management del quale ultimamente si parla spesso pure a casa nostra, dato il suo recente rafforzamento nell’azionariato di Telecom Italia, nel quale è passato dal 2,82% al 5,132%. Una mossa che ha sorpreso un po’ tutti (e in primis il mercato), perché è arrivata proprio nel momento in cui le agenzie di rating stavano abbassando il giudizio sul debito della società italiana delle tlc al rango di junk, ovvero spazzatura. Con broker e investitori intenti a chiedersi quale linea avrebbe potuto prendere la nuova compagine aziendale. Un rafforzamento che testimonia come l’interesse del gruppo sul nostro Paese, al netto dei rischi politici, non manca di farsi sentire, in completa controtendenza con la percezione del mercato che su Piazza Affari o sul debito di casa, ultimamente, fa prevalere lo scetticismo. Ma, in genere, il colosso dei fondi ci vede lungo e spesso riesce ad anticipare le mosse future di una società o forse, semplicemente, con le masse che muove è in grado di influenzare il mercato. E dato che alle domande si risponde sempre, sul motivo che lo ha spinto a crescere nell’azionariato all’interno di Telecom Italia, la risposta non ha tardato ad arrivare: Blackrock ha ritenuto attraenTi gli attuali livelli di quotazione del gruppo.

«CERCHIAMO AZIENDE SANE»

Due battute con Armand De Coussergues, gestore del fondo Echiquier Agenor (specializzato nell’azionario small/mid cap europeo) del gruppo Financière de l’echiquier

Quali caratteristiche devono avere le aziende e i mercati in cui investite? Siamo alla ricerca di aziende finanziariamente sane, guidati da una gestione credibile e legittima, spesso con un azionista familiare che garantisca l’allineamento di interessi. Selezioniamo imprese che hanno una forte posizione di mercato, sia localmente sia a livello internazionale, che deriva da un modello di business distintivo. Ci concentriamo sulle valutazioni e ricerchiamo aziende il cui prezzo in Borsa abbia un significativo potenziale di apprezzamento.Qual è il tempo di permanenza media nella compagine societaria di un’azienda? Financière de l’Echiquier, come approccio, è un investitore di lungo termine e mediamente rimaniamo nella compagine societaria di un’azienda per un periodo superiore ai due anni.Nel caso in cui decidiate di vendere la vostra partecipazione in una società quotata, la prassi prevede di rivolgersi a un altro fondo per sondarne l’interessamento o di rivolgersi indistintamente al mercato? Nel caso in cui decidiamo di vendere le nostre partecipazioni azionarie, ci rivolgiamo direttamente al mercato.

Un altro caso eclatante che ha visto il colosso dei fondi muoversi con precisione chirurgica è stato Saipem (gruppo Eni). Lo scorso febbraio, il Financial Times ha rivelato che era stato proprio BlackRock il misterioso investitore che aveva venduto il 2,3% di Saipem poco prima dell’annuncio shock del profit warning (quando i numeri di una società risultano essere inferiori alle aspettative degli analisti, ndr) da parte della controllata di Eni. Una cessione, curata da Bank of America, finita sotto la lente Consob e dell’omologa inglese Fsa per la “singolare coincidenza” con cui il venditore aveva evitato per un soffio di subire una perdita del 30% sul controvalore totale.

RIPARTIZIONE DEGLI INVESTIMENTI IN ITALIA – 1° SEMESTRE 2013

PER TIPOLOGIA (IN MILIONI DI EURO)

PER SETTORE (IN %)

Seed/startupExpansionTurnaroundReplacementBuy outTotale

284151409231.407

Servizi finanziariEnergia & UtilitiesTessileBeni e servizi industriali

28,9%16,8%8,9%8,5%

Fonte: AIFI – PwC

Dal macro al micro, oggi sul mercato i fondi di investimento sono tanti e la gamma è davvero ampia per un investitore privato che non se la sente di investire col fai-da-te. E spazia dall’azionario all’obbligazionario governativo o societario. Molti di questi, in Italia, ben rappresentati dalle reti di distribuzione di emanazione bancaria o di promotori finanziari, negli anni hanno messo a segno, al netto di spese e commissioni di gestione, buoni risultati. Soprattutto gli azionari, perché laddove il rischio è più alto, lo sono di conseguenza anche i guadagni potenziali. Inoltre, l’impalcatura di regolamentazioni a cui devono sottostare li rende uno strumento trasparente e controllabile. A cosa guardano però i fondi quando devono scegliere un titolo? Su cosa si basano? Sull’analisi fondamentale o sull’analisi tecnica? Ognuno ha la propria strategia di investimento. Un fondo azionario, in genere, quando deve scegliere un titolo da mettere in portafoglio, guarda alla solidità del management, alla capacità di fare cassa e di produrre utili e alla potenzialità di crescita del business. Con gli investitori a chiedersi: è il momento di investire in questa azione? La strategia della società contribuirà a far guadagnare il suo titolo in Borsa nei prossimi anni? Paga un dividendo? Conviene acquistare l’azione ordinaria o quella di risparmio? Ci sarà un aumento di capitale? Quando ha staccato l’ultimo dividendo?

«Investiamo in società con crescita di qualità», racconta a Business People Gabriella Berglund, responsabile per l’Italia di Comgest asset management. E spiega: «Questo significa che scegliamo aziende che promettono una crescita di Eps (utili per azione) superiore al 10% degli ultimi cinque anni, con una forte visibilità dovuta all’essere positivamente esposti a megatrend come: l’outsourcing, l’invecchiamento della popolazione con forti driver di crescita specifici per la società; ma anche l’innovazione o l’espansione regionale, com’è il caso di Prada. L’alta profittabilità delle nostre aziende le porta ad avere anche un’alta generazione di liquidità, in grado di sostenere la crescita interna e tenere a posto i bilanci. Prendendo in considerazione il nostro portafoglio europeo, guardiamo ad aziende con una forte capacità di esportazione e la metà di queste non deve avere debiti. La crescita delle entrate dovrebbe dipendere il meno possibile da fattori esterni, quali il ciclo macroeconomico, ma legarsi alla solidità interna dell’azienda». Tra le condizioni che gli esperti guardano vi è anche la presenza di forti barriere di ingresso al mercato. Inoltre, «un buon mix che incorpora marchio forte, efficiente distribuzione, uso di tecnologia proprietaria, il fatto che l’azienda sia ricettiva all’innovazione e si serva delle ultime novità e che si basi si di un modello di business attraente, con forte visibilità dei rendimenti e una crescita delle entrate a doppia cifra. In questo modo otteniamo un’alta crescita con basso rischio, che è il nostro approccio all’investimento». In tema di strategie, e quindi di asset allocation, in questa fase di mercati, volatile e delicata, l’absolute return (o ritorno assoluto) permette di partecipare alle fasi di rialzo dei mercati e di proteggersi in quelle ribassiste. Ecco la ricetta di Riccardo Milan, responsabile per l’Italia di Capital Strategies Partners: «In un portafoglio diversificato darei il 25% alle strategie absolute return, perché ci sono molte valide gestioni che riescono ad ottenere performance interessanti anche in contesti molto volatili. Un altro 25% in high yield, ovvero in obbligazioni societarie ad alto rischio, soprattutto americane, in quanto l’economia Usa sta “tirando” grazie anche ai quantitative easing e al rimandato tapering e i bilanci delle aziende sono sani. Punterei il 25% al Giappone, Paese molto stabile grazie alla maggioranza del premier Abe in entrambe le camere e al fatto che il governatore della BoJ è di sua emanazione. Un altro 15% lo investirei in obbligazioni governative ad alto rating (trasuries Usa, titoli di Stato tedeschi e dell’area Nord-europea), infine un 10% in debito governativo di paesi emergenti di frontiera, sia in valuta forte (hard currency) sia debole (local currency) giocando su un’ulteriore diversificazione a livello di valute». Ma qual è il tempo di permanenza media nella compagine societaria di un’azienda? «Considerando il nostro portafoglio europeo, siamo molto concentrati detenendo tra i 35 e i 40 titoli», precisa Berglund. E conclude: «Abbiamo mantenuto più del 50% del nostro portafoglio attuale per più di cinque anni. Adottiamo una strategia “buy and hold” (compra e mantieni) con un obiettivo di lungo periodo. L’azienda ideale per crescita di qualità è Coca Cola».

UNO SGUARDO SUL PRIVATE EQUITY

Scegliere le aziende dove investire è il mestiere dei fondi di private equity, che, oltre a guadagnarci, dovrebbero risanarle, traghettarle fuori dall’indebitamento, ampliarne il portafoglio clienti, ottimizzarne la produzione e magari portarle alla quotazione. Definiti per anni con il termine dispregiativo di locuste, perché accusati di grande spregiudicatezza, di essere più concentrati sulla speculazione finanziaria che sulla crescita reale, col tempo si sono dimostrati strumenti utili per il rilancio di alcune aziende. Il meccanismo è questo: si raccolgono i capitali degli investitori e si acquistano altre società con l’obiettivo di ristrutturarle, magari scorporarle, per poi rivenderle a un prezzo superiore. In Italia non mancano esempi virtuosi dove il fondo di private equity è stato in grado di fare un buon lavoro, di reggere in un contesto difficile come sono stati gli anni dal 2007 a oggi, di mantenere stabili i volumi. Ma è bene sapere che, a parte due o tre in grado di fare operazioni di grandi dimensioni, la maggior parte degli operatori in Italia sono stati protagonisti di operazioni di piccola o media dimensione. Fa sapere l’Aifi, associazione italiana del private equity che, a chiusura del I semestre 2013, sono state registrate nel mercato italiano del pe e venture capital 161 nuove operazioni (+10% rispetto al I semestre del 2012), per un controvalore complessivo pari a 1.407 milioni di euro, corrispondente a un aumento del 62%. In Italia i fondi principali sono Clessidra di Claudio Sposito (nel capitale di gruppi come Camfin, Baroni, Buccellati Holding Italia), Investindustrial di Andrea Bonomi (entrato in Aston Martin e protagonista nel 2011 dell’Opa su Snai e di quella su Coin) e Equinox di Salvatore Mancuso, Bc Partners, Eurazeo, Mandarin Capital Partners, Fondo Italiano di Investimento, Opera di Michele Russo. Racconta un protagonista del settore che preferisce rimanere anonimo: «Preferiamo investire su aziende italiane che operano su mercati a elevate opportunità di crescita, aziende orientate all’export, che abbiano una posizione di leadership nel mercato in cui operano, o su mercati dove si configurano opportunità di integrazione di più aziende, in modo da costruire un aggregante, generare cassa, sfruttando le sinergie di costi e di ricavi. Vediamo con favore società gestite da imprenditori che accolgano la nostra proposta di “manageralizzazione”. Siamo molto attenti al rigore finanziario». Il private equity è, per sua natura, un investimento a lungo periodo. «Un fondo ha una durata media di dieci anni, estendibile di tre o quattro. L’obiettivo è sempre massimizzare il valore. Per uscire dall’investimento, si fa un processo strutturato di asta aperto a tutte le parte industriali e finanziarie. A volte può esserci il migliore acquirente possibile (industriale) che, pur di evitare che arrivi un terzo o si giunga all’asta, instaura negoziazoni one to one». E conclude: «Dopo il crack di Lehman Brothers, così come il mondo finanziario anche il pe è cambiato. Ora l’imperativo è il ritorno basato sulla crescita del fatturato, sull’incremento dei margini tramite il rigore, sul controllo dei rischi. Il pe oggi può proporsi come motore di crescita e di sviluppo in alternativa ad altri canali, soprattutto nell’ottica di medio lungo termine, per società di media e grande dimensione». Spostandoci oltre Oceano, da segnalare come i fondi sovrani del mondo emergente siano sempre più attivi. Il Korea Investment Corporation costruirà una nuova piattaforma per la cooperazione transfrontaliera di investimento in private equity con la sua controparte in Russia, Direct Investment Fund. Ogni fondo sovrano metterà in 250 milioni dollari per iniziare ma si prevede di arrivare al miliardo piuttosto in fretta.

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