Se è vero che la Borsa di Wall Street si trova sui massimi storici, è altrettanto vero che sul mercato finanziario si nascondono insidie che potrebbero innescare diverse turbolenze. Tra valutazioni elevate, rischi di liquidità e tensioni geopolitiche, le dinamiche finanziarie di oggi richiamano alla mente il mito della spada di Damocle: un equilibrio minacciato da fragili fili. Per la precisione, stando all’analisi pubblicata dal quotidiano Il Sole 24 Ore, a minacciare la Borsa statunitense sarebbero ben “cinque spade“, ognuna con le sue precise criticità.
La prima è rappresentata dai multipli di mercato: secondo Bank of America, il rapporto tra prezzo e patrimonio netto dell’S&P 500 ha raggiunto livelli record, superiori persino a quelli della bolla dotcom del 2000. Attualmente, il price-to-book value dell’indice si attesta oltre le 5,2 volte, segnalando una potenziale sopravvalutazione. Certo, la concentrazione di Wall Street sui dieci titoli più grandi distorce la media, non si può ignorare che il confronto con il più contenuto multiplo dello Stoxx 600 europeo, intorno a 2, metta in luce un rischio di eccessiva enfasi sui titoli tecnologici e ad alta capitalizzazione.
La seconda spada è legata alla liquidità: nonostante il quantitative tightening della Federal Reserve, la massa monetaria negli Usa rimane elevata, con oltre 21.300 miliardi di dollari in circolazione. Questo ha alimentato la corsa dei mercati dal 2008 in poi, eppure uno studio della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) ha mostrato che l’abbondanza di liquidità è una lama a doppio taglio.
Infatti, se da un lato riduce gli spread bid-ask, dall’altro incrementa la vulnerabilità del mercato. Fenomeni come la phantom liquidity, in cui i robot trader ritirano massicciamente liquidità in momenti di crisi, possono destabilizzare rapidamente il sistema. La terza spada, invece, è relativa alla dalla leva finanziaria. Nei periodi di abbondanza di liquidità, la leva non viene percepita come rischiosa, ma eventi come un rialzo dei tassi d’interesse possono costringere gli operatori a disimpegnarsi, riducendo la liquidità e ampliando gli spread. Questo circolo vizioso aumenta la probabilità di shock improvvisi e di mercati in stallo.
La quarta spada è la tensione geopolitica. Le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina rappresentano un rischio tangibile per i profitti aziendali. Goldman Sachs ha stimato che oltre il 50% del total return dell’S&P 500 nell’ultimo decennio sia attribuibile alla crescita degli utili. Dall’altra parte però un’escalation nei dazi potrebbe non solo danneggiare i margini di profitto, ma anche riaccendere l’inflazione, complicando ulteriormente la politica monetaria della Fed.
Infine, c’è la concentrazione di mercato. Le dieci aziende più grandi costituiscono circa il 35% dell’S&P 500: una simile dipendenza riduce la diversificazione e amplifica il rischio che una crisi di un singolo gigante tecnologico abbia ripercussioni sull’intero indice. Sebbene queste società siano resilienti, Goldman Sachs avverte che la concentrazione potrebbe rallentare la crescita media dell’S&P 500 nei prossimi dieci anni, dal 7% al 3%.
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