Manager Paperoni, in Italia sono pochi a guadagnare tanto

Secondo un'analisi di Wtw la differenza di retribuzione tra top manager e dirigenti è il risultato della differenza tra la domanda e l'offerta

I top manager italiani, in quanto a stipendi, sono secondo solo agli americani© Shutterstock

In Italia i Ceo sono fra i più pagati al mondo, ma solo pochi top manager contano davvero su stipendi d’oro. Inoltre, la pressione fiscale è al massimo e incide su tutte le retribuzioni: è questo quello che emerge da una recente indagine che fotografa stipendi, ruoli e situazione complessiva di chi lavora al vertice di aziende di medio-grandi dimensioni.

L’indagine in questione è stata condotta da Wtw, colosso dell’analisi del rischio e della valorizzazione delle risorse umane, e non si è limitata a prendere in esame solo la Penisola: ha infatti raccolto i dati di oltre 700 aziende clienti e delle maggiori società quotate, a parità di valuta e mansioni, attingendo da un bacino globale.

La classifica generale vede i Ceo italiani in seconda posizione, indicandoli come i più pagati al mondo dopo quelli americani. L’elenco si ribalta però se si guardano le posizioni dei dirigenti, che si trovano invece in penultima posizione prima della Turchia. Stando a quanto spiegato da Edoardo Cesarini, ad di Wtw in Italia, questa forbice salariale sarebbe il risultato della differenza tra la domanda e l’offerta.

In sostanza, molto semplicemente, il mercato del lavoro dei dirigenti è più ampio ed è pertanto influenzato da una maggiore offerta e da dinamiche esogene. Al contrario, quello dei top manager è ristretto, cosa che fa sì che i Ceo davvero super pagati siano pochi.

La differenza in termini di cifre, però, è assolutamente rilevante, come afferma Cesarini: «I top manager hanno un salario base che è anche 10 volte superiore a quello di un dirigente». Chiaramente, sul top management è imprescindibile l’analisi di tutti gli elementi monetari del pacchetto retributivo, inclusa la componente di lungo termine in aggiunta a quella di breve termine.

Come lo stesso Cesarini esplica, infatti, i top manager «beneficiano di una retribuzione variabile superiore sia sui risultati di breve-medio termine che di lungo periodo, che serve anche come “retention” per i capi azienda». Non è un caso che in Italia i top manager che guadagnano di più sono quelli che lavorano per le aziende partecipate dai private equity: oltre agli incentivi di medio e lungo termine hanno, infatti, un compenso correlato alla creazione di valore che viene realizzata.

Inoltre, questi top manager spesso investono nel capitale delle aziende che gestiscono (per esempio, l’ad di Eni Claudio Descalzi, nel 2023, ha ricevuto poco più di 8,2 milioni tra compenso fisso, bonus, altri incentivi e azioni). Resta comunque il fatto che un top manager Usa guadagna il 239% più di un italiano e un dirigente quasi il 150% in più.

Sotto i top manager si posizionano i professional, ovvero i quadri di alto livello, Ma anche qui,  l’Italia si trova al penultimo posto nelle classifiche, davanti solo alla Turchia. «Dal livello manager in giù – dice ancora Cesarini – l’Italia risulta tra le meno competitive rispetto agli altri Paesi. Peraltro, il fenomeno della fuga dei cervelli registrato in questi anni sembrerebbe trovare una giustificazione, se non altro, per il differenziale di retribuzioni».

Un principio che vale anche per i neolaureati italiani, che si posizionano a metà classifica dopo gli svizzeri, gli americani, i tedeschi gli olandesi i francesi e gli inglesi. Infine, proprio i giovani non hanno una retribuzione soddisfacente: è 1,79 volte inferiore a quella della Germania e meno della metà di quella di un neolaureato negli Stati Uniti (dove l’istruzione e la vita costano di più, ma la pressione fiscale è molto inferiore).

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