L’oro continua la sua corsa, superando i 3.000 dollari l’oncia, spinto da un mix di fattori economici, politici e psicologici. Il metallo giallo ha infranto l’ennesima barriera simbolica, portandosi a quota 3.057 dollari: è un record assoluto, dopo i 1.000 dollari raggiunti nel 2008 durante la crisi finanziaria e i 2.000 oltrepassati nella fase iniziale della pandemia.
L’oro si conferma ancora una volta il bene rifugio per eccellenza. E il recente balzo delle quotazioni non è un episodio isolato, ma il risultato di una domanda in crescita costante. Alla raffineria Argor-Heraeus di Mendrisio, nel Canton Ticino, le fornaci non si fermano da mesi: il flusso di ordini, in particolare da New York, non accenna a calare. Come ha spiegato Robin Kolvenbach, amministratore delegato dello stabilimento (le sue parole sono state riportate sia da Affari & Finanza di Repubblica sia dal Corriere della Sera), in passato ci sono già stati picchi di richiesta, ma si esaurivano in una o due settimane. Stavolta, invece, la domanda eccezionale di lingotti si protrae da tre mesi consecutivi.
Un contesto geopolitico turbolento
Le ragioni dell’impennata sono molteplici. Da un lato, ha pesato il ritorno di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti: l’ipotesi di nuove tariffe all’importazione e l’atteggiamento più protezionista dell’amministrazione Usa hanno alimentato il timore di un inasprimento delle relazioni commerciali. Dall’altro, la svalutazione del dollaro ha reso l’oro più conveniente per chi compra in altre valute, contribuendo a rendere il metallo ancora più appetibile sui mercati.
Ma non è solo la speculazione a trainare i prezzi. Le banche centrali stanno infatti continuando ad accumulare oro, anche con l’intento di riequilibrare i propri portafogli, riducendo l’esposizione in dollari. Un’operazione legata non tanto alla sfiducia nella valuta americana, quanto a una visione più strategica dettata dai nuovi equilibri geopolitici. Il metallo prezioso, del resto, mantiene il suo fascino in tempi di incertezza: è un asset reale, tangibile, capace di proteggere dalla volatilità e dall’inflazione.
Gli investitori tornano a comprare
Nel 2024 gli acquisti da parte di investitori al di fuori delle banche centrali hanno toccato quota 1.180 tonnellate, un massimo storico. A ciò si aggiunge il ritorno in attivo degli Etf, dopo tre anni di deflussi, e l’ingresso tra gli acquirenti di nuovi soggetti come le compagnie assicurative cinesi.
Come ha ricordato John Reade, strategist del World Gold Council e ripreso dall’inserto economico di Repubblica, l’oro è un’attività finanziaria, ma è anche un bene fisico, e proprio questa sua natura tangibile gli conferisce un valore psicologico importante nei momenti di tensione sui mercati.
Anche i piccoli risparmiatori stanno tornando ad affacciarsi sul mercato dell’oro. Le opzioni vanno dall’acquisto diretto di lingotti e monete — esenti da Iva e senza imposte di possesso — agli strumenti finanziari come fondi comuni, Etf o Etc. I primi sono gestiti attivamente e hanno costi più elevati, mentre i secondi replicano l’andamento del prezzo dell’oro o delle aziende del settore. Gli Etc, in particolare, investono direttamente sulla materia prima, e questo li rende più aderenti all’andamento dell’oro fisico.
Lingotti sì, ma con cautela
Comprare oro fisico ha vantaggi e svantaggi. Garantisce il possesso diretto, ma comporta anche costi di custodia, rischio di furto e una liquidità più ridotta. Come ha spiegato David Coppini, investment manager di First Capital, lingotti e monete danno all’investitore la piena proprietà del bene, ma con commissioni implicite elevate e maggiore difficoltà di rivendita. Inoltre, sugli oggetti di piccolo taglio gli spread tra acquisto e vendita possono superare il 5-10%, mentre su formati più grandi questi margini si riducono.
Secondo Stefano Gianti, analista di Swissquote, per questo motivo l’oro fisico è più adatto a orizzonti di investimento di medio-lungo periodo, mentre chi guarda al breve tende a preferire soluzioni finanziarie. Le azioni delle società minerarie offrono un’altra via, ma espongono a una volatilità maggiore, perché amplificano l’andamento del prezzo del metallo con le performance aziendali.
In sintesi, come ha sottolineato Marco Greco, co-ceo di Value Track Sim, l’oro non è uno strumento speculativo, ma una forma di protezione efficace se inserita in una strategia ben ragionata. Non genera dividendi né interessi, ma può contribuire alla tenuta complessiva di un portafoglio.
Oro: fino a dove può arrivare la quotazione?
Le previsioni restano aperte. Per Bank of America, se la domanda degli investitori dovesse salire del 10% rispetto all’anno scorso, il prezzo dell’oro potrebbe raggiungere i 3.500 dollari l’oncia. La banca di investimenti Macquarie è ancora più ottimista, ipotizzando che questo traguardo possa essere raggiunto già entro il terzo trimestre del 2025, sull’onda delle tensioni geopolitiche e delle preoccupazioni legate al debito statunitense.
Più prudente invece l’approccio di Stefano Guglielmetto, responsabile investment solutions Italy di Lombard Odier, che sulle pagine di Affari & Finanza osserva come i livelli attuali siano già molto alti e che non sia opportuno rafforzare ulteriormente le posizioni. Tuttavia, sottolinea anche che una piccola esposizione all’oro ha senso in una logica di diversificazione del portafoglio.
I più grandi depositi di oro al mondo
Mentre i mercati rincorrono le quotazioni, resta alta l’attenzione sui luoghi in cui l’oro è custodito. Gli Stati Uniti detengono le maggiori riserve auree mondiali, stimate in oltre 8.000 tonnellate, gran parte delle quali si trovano a Fort Knox, in Kentucky. Il leggendario deposito è sorvegliato dal 1937 ed è tornato al centro dell’attenzione dopo che Donald Trump ha affermato che Elon Musk potrebbe ispezionarlo.
Al secondo posto c’è la Germania, con 3.351,53 tonnellate d’oro custodite dalla Bundesbank. Segue l’Italia, che mantiene nei caveau della Banca d’Italia circa 2.452 tonnellate: un patrimonio che conferma il nostro Paese tra i principali detentori mondiali. Le riserve italiane sono custodite tra Roma, Londra e New York. Un dettaglio curioso riguarda proprio la domanda americana: il mercato statunitense richiede lingotti da 400 once (circa 12,4 chili), mentre in Europa si usano lingotti da un chilo. Questo spiega perché la raffineria di Mendrisio stia lavorando senza sosta: per rifondere l’oro europeo e adattarlo agli standard richiesti dal Comex di New York.
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