Nuovo massimo storico per l’oro: sono stati superati i 2.800 dollari l’oncia, cifra che rimarca e conferma il trend in rialzo da cinque settimane. La corsa è iniziata il 19 dicembre e da inizio anno l’incremento è pari al 7%, probabilmente destinato ad aumentare. Il metallo giallo, dunque, continua a essere uno dei protagonisti di spicco sui mercati finanziari.
Come sempre, vale la pena precisare che questo record (e quelli precedenti) non è un caso isolato, ma il risultato di una combinazione di fattori macroeconomici e geopolitici che rafforzano il ruolo di bene rifugio dell’oro: gli investitori cercano stabilità in un contesto caratterizzato da incertezze, che si stanno peraltro intensificando in seguito alle scelte prese dagli Stati Uniti in termini di politiche economiche, con timori sull’inflazione e crescenti tensioni commerciali globali.
Sì, perché il prezzo dell’oro è tradizionalmente influenzato da una serie di variabili, tra cui i tassi di interesse, l’inflazione e la domanda di metalli preziosi da parte delle banche centrali. Quando i mercati percepiscono instabilità o rischi economici, la domanda di oro aumenta, essendo considerato un asset sicuro, immune dalle svalutazioni valutarie e dalle turbolenze finanziarie.
Come dicevamo, l’attuale fase rialzista è alimentata in particolare dall’atteggiamento prudente della Federal Reserve: la banca centrale statunitense ha recentemente confermato una politica di attesa, mantenendo invariati i tassi di interesse tra il 4,25% e il 4,5%. Ciò fa guardare al metallo giallo, perché l’attrattiva di altri investimenti, come le obbligazioni, è ridotta e diventa più conveniente detenere asset che non offrono rendimenti diretti ma garantiscono protezione contro l’inflazione.
Ancora, a incidere sull’impennata del prezzo è anche la crescente incertezza sulle politiche commerciali degli Stati Uniti. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi fra cui quelli sulle importazioni da Messico e Canada, fissandoli al 25% a partire dal 1 febbraio.
Una decisione che potrebbe avere conseguenze significative sugli equilibri economici globali, innescando una guerra commerciale e aumentando le pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti. L’oro diventa così un’alternativa privilegiata rispetto a valute e azioni, considerate più vulnerabili agli effetti di politiche protezionistiche.
Le tensioni si estendono anche ai rapporti con la Cina, per cui sono stati introdotti dazi del 10% su diverse categorie di beni. Ancora più preoccupanti sono le minacce di tariffe fino al 100% contro i paesi BRICS, accusati di voler creare una valuta alternativa al dollaro per gli scambi commerciali internazionali: ciò ha spinto gli investitori a rafforzare le loro posizioni in oro, anticipando potenziali ripercussioni sull’economia globale.
Secondo gli analisti, il rally dell’oro potrebbe non essere finito. Alcune previsioni parlano di un possibile raggiungimento della soglia dei 3.000 dollari l’oncia nei prossimi mesi, soprattutto se l’inflazione dovesse tornare a crescere e le tensioni geopolitiche dovessero intensificarsi.
© Riproduzione riservata