È ancora un’ipotesi sul tavolo delle trattative, ma Cvc Capital Partners starebbe valutando di rilevare la quota di Tim detenuta da Vivendi. Si tratta di una quota di partecipazione superiore al 23,7% per un valore di circa un miliardo di euro che farebbe gola anche ad Apax e Bain Capital. La quota di Vivendi è inferiore alla soglia che farebbe scattare l’obbligo di Opa, ma è richiesto comunque un confronto con il Governo italiano, visti gli asset strategici di Tim. Basti pensare al 5G, i data center e Telsy.
Cvc, inoltre, non è nuova a confronti del genere. Già nel 2022 si è detta interessata ad acquisire Tim Enterprise. Bain Capital, con il 50% di Engineering, non è da meno in termini di competenze nel settore. Una competizione fra i due potrebbe fare alzare le somme in gioco e velocizzare l’uscita di Vivendi, che chiede almeno 1,5 miliardi.
Se gli equilibri cambiassero, ci sarebbero in gioco il riassetto di Tim Enterprise e il consolidamento di Tim Consumer, nonché la conversione o il buyback delle azioni di risparmio, oltre allo spin-off o alla monetizzazione di asset non core.
Ma quale sarebbe il destino di Vivendi, se la scissione da Tim andasse a buon fine? “Il punto di partenza dell’operazione era l’andamento del titolo Vivendi in Borsa che non rifletteva il vero valore del patrimonio”, ha dichiarato Yannick Bolloré, presidente del consiglio di sorveglianza, circa un anno fa.
Intanto Stefano Siragusa, ex Chief network operations & Wholesale officer di Tim, ha venduto 800 mila azioni del gruppo Tlc, di cui è membro del Cda, per un valore di circa 200mila euro, con un prezzo di 0,26 euro per azione.
E mentre la Manovra 2025 è al vaglio della Camera dei Deputati, salta l’emendamento di Fratelli d’Italia che aveva come obiettivo il rincaro delle tariffe dell’Adsl per ottenere liquidità al fine di sostenere i costi degli operatori per accelerare sull’Ftth.
La proposta prevedeva un incremento dei prezzi del 10% dal 1° gennaio 2025 per tutti i servizi in rame e l’istituzione di un fondo per lo switch off, così da contribuire al sostenimento degli oneri di tutti gli operatori per la migrazione degli utenti verso le reti a banda ultralarga ad altissima capacità.
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