Un Paese ricco con una Borsa povera. Tra le molte contraddizioni dell’Italia, vale la pena menzionarne una: quella tra la ricchezza delle famiglie e la dimensione del mercato azionario. Tra i dieci Stati più ricchi al mondo, al nono posto ci siamo noi, con un tesoretto di 5.300 miliardi di euro in mano ai privati, tra conti e titoli. Guardando altre classifiche, ci si aspetterebbe, quindi, di trovare l’Italia anche tra le dieci piazze finanziarie più grandi al mondo. Ma così non è. Anzi, tra i mercati sviluppati, la Borsa di Milano è forse tra le più piccine.
Se n’è accorto di recente anche il presidente della Consob, Paolo Savona. Nel suo ultimo discorso al mercato finanziario ha ricordato che uno degli obiettivi di politica e istituzioni finanziarie dovrebbe essere quello di fare affluire il risparmio degli italiani verso l’economia reale per supportare e proteggere l’economia italiana. Che tradotto, significa trasferire montagne di denaro ferme nei conti correnti in Borsa. Il suo appello non è isolato. Due anni fa, per citarne uno, un discorso analogo fu quello di Ignazio Visco, allora governatore di Bankitalia. Una strigliata all’industria del risparmio, che investiva solo una bassa percentuale del patrimonio dei fondi in azioni e bond di imprese italiane. Le sue parole, però, non furono ascoltate.
Cos’è accaduto da allora? Gli italiani hanno investito. E molto, ma in titoli di Stato. Nel 2023 ne hanno acquistati per circa 100 miliardi di euro, tanto che la percentuale del debito pubblico in mano alle famiglie dallo scorso anno è tornata sopra al 10%. Non si è arrestata, invece, la fuga da Piazza Affari, da cui sono usciti 50 miliardi negli ultimi cinque anni. E nonostante gli ottimi guadagni dello scorso anno, grandi marchi del made in Italy hanno continuato a portarsi fuori dalla Borsa e a scegliere altre strade per raccogliere capitali freschi.
La scommessa, quindi, sembra essere quella di veicolare parte della ricchezza degli italiani verso le imprese. Nel passato ci hanno pensato soprattutto le banche a sostenere il sistema produttivo italiano. Un sistema che si è rotto con le crisi bancarie del 2015-2017. È giunto il momento di trovare un’altra stampella. E l’industria dei fondi potrebbe fare molto. «Poiché il risparmio degli italiani resta abbondante e, come testimonia il saldo positivo della nostra bilancia estera economica, una parte resta inutilizzata all’interno, diviene impellente sollecitarne l’impiego in titoli di capitale rappresentativi di investimenti reali», ha ricordato Savona. Chissà se, questa volta, il suo appello sarà ascoltato.
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