Vivendi scende nel capitale Telecom: quota ridotta del 5%

Vivendi scende al 18,37% in TIM, avviando il disimpegno dal capitale: la mossa apre a nuovi equilibri azionari con Poste Italiane pronta a rafforzarsi

Vivendi in lenta uscita da Tim: le mosse del gruppo francese© Shutterstock

Nei giorni scorsi Vivendi ha concretamente avviato il suo disimpegno da Telecom Italia (Tim), cedendo sul mercato una quota pari a oltre il 5% del capitale​: la mossa ha ridotto la sua partecipazione dal 23,75% a circa il 18,4% delle azioni ordinarie​. Ciò significa, in concreto, che pur restando il primo azionista di Tim, il colosso francese segna un passo indietro di forte rilevanza simbolica, preannunciando di fatto l’uscita dal ruolo di socio di riferimento.

La decisione, maturata in un contesto di riorganizzazione del settore e di pressione sui conti di Tim apre un nuovo capitolo nella complessa vicenda della ex Telecom italiana, in un momento in cui altri attori (compresi investitori istituzionali nazionali) stanno ridefinendo gli equilibri nell’azionariato.

La partecipazione di Vivendi

Ma facciamo un passo indietro: Vivendi era entrata nel capitale di Telecom Italia nel 2015, rilevando inizialmente una quota di minoranza e salendo progressivamente fino a detenere quasi il 24%​. L’obiettivo dichiarato era strategico: il gruppo francese puntava a esercitare un ruolo attivo nel rilancio dell’ex monopolista telefonico, integrando eventualmente contenuti media e telecomunicazioni sotto la propria influenza.

Nei primi anni infatti Vivendi, guidata da Vincent Bolloré e dal Ceo Arnaud de Puyfontaine, ha sostenuto operazioni come la possibile cessione di asset non strategici (per esempio, si mostrò favorevole all’idea di vendere la controllata brasiliana Tim Brasil per concentrarsi sul mercato domestico​). La scalata di Vivendi ha però dato luogo a tensioni nella governance: nel 2018 un fondo attivista sfidò con successo l’influenza francese.

Va poi aggiunto che in generale, negli ultimi anni Telecom Italia ha intrapreso un percorso di profonda ristrutturazione, culminato nella decisione di separare la rete fissa dalle attività di servizi. Più specificamente, nel 2022-2023 l’amministratore delegato Pietro Labriola ha presentato un piano per scindere il gruppo in due entità (la NetCo per la rete e ServCo per i servizi) e negoziare la vendita della rete a investitori esterni. Tim è diventata così la prima grande telco europea a optare per una cessione integrale della rete fissa, accettando un’offerta guidata dal fondo americano KKR nel corso del 2023​. Vivendi, contraria a questo disegno, ha percepito lo scorporo della rete e la sua vendita come un depauperamento dell’asset più prezioso di Tim. Il gruppo francese ha quindi osteggiato la vendita della rete sin dall’inizio, contestandola anche nelle sedi legali​.

L’uscita dal capitale di Vivendi

Le divergenze strategiche hanno contribuito ad incrinare definitivamente il progetto industriale che Vivendi aveva in mente per Tim e, dopo mesi di indiscrezioni, è arrivata la scelta di alleggerire la propria posizione​. Come abbiamo detto, la cessione sul mercato di un pacchetto di azioni pari a circa il 5% del capitale rappresenta la prima tappa di un disimpegno progressivo.

Arnaud de Puyfontaine ha dichiarato a Reuters che il gruppo uscirà da Tim «quando sarà in condizione di farlo a buone condizioni» e va sottolineato che il colosso potrà eventualmente trattare privatamente la cessione di ulteriori quote in futuro (con potenziali acquirenti come fondi di private equity o investitori istituzionali). Intanto ha appunto dimostrato concretamente la volontà di uscire dal capitale Tim. Le motivazioni alla base di questa decisione risiedono anche nelle considerazioni finanziarie: Vivendi ha investito in Tim a un prezzo medio stimato di circa 1,08 euro per azione, mentre oggi il titolo viaggia in Borsa sotto i 0,30 euro.​

Il mancato rialzo significativo del valore di Telecom Italia negli anni di presenza francese ha comportato per Vivendi una pesante minusvalenza potenziale (oltre 2,5 miliardi di euro)​. In questo contesto, la soglia del 5% ha un valore simbolico e pratico al tempo stesso: restando sotto tale livello (comunque sopra il limite minimo che richiede comunicazioni di partecipazione rilevante, fissato al 3%), Vivendi si garantirebbe flessibilità nel collocare gli ulteriori pacchetti senza far scattare obblighi regolamentari più stringenti, e al contempo segnerebbe la fine del suo ruolo attivo in Tim.

L’impatto in Borsa e non solo

La ritirata di Vivendi dal capitale di Telecom Italia è stata accolta da reazioni immediate sul mercato: il titolo Tim ha registrato movimenti significativi, con le azioni hanno accelerato al rialzo in scia a voci di possibili nuovi ingressi nell’azionariato​. Gli investitori hanno infatti iniziato a speculare su un riassetto che potrebbe coinvolgere operatori terzi: si è parlato dell’interesse del gruppo francese Iliad e di fondi di private equity per rilevare parte della quota di Vivendi​.

Parallelamente, è cambiata la mappa degli azionisti stabili di Tim: Poste Italiane (attraverso uno schema sostenuto dal Ministero dell’Economia) è recentemente diventata il secondo azionista della compagnia, acquisendo una quota del 9,8% da CDP​. L’ingresso di Poste mira a garantire una presenza pubblica nel capitale Telcom Italia e ad aprire la strada al consolidamento del mercato delle telecomunicazioni in Italia.  Forte di liquidità e supporto istituzionale, Poste ha lasciato intendere di poter aumentare ulteriormente la propria partecipazione, puntando eventualmente a circa il 24% del capitale​.

Un incremento di tale portata sarebbe calibrato per non superare la soglia che farebbe scattare un’Opa obbligatoria, mantenendosi appena sotto i limiti normativi. Di certo, l’operazione segnala la volontà delle autorità di riequilibrare il peso decisionale in Tim: con Vivendi in ritirata, un azionista domestico forte come Poste (controllata dallo Stato) può giocare un ruolo di regia, coordinandosi con gli altri investitori istituzionali. Questo nuovo assetto potrebbe portare benefici non solo in termini di stabilità azionaria, ma anche di indirizzo strategico, ad esempio favorendo sinergie industriali tra TIM e le attività di Poste.

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