È tempo di global minimum tax sia in Europa sia in Italia, al primo anno di applicazione delle norme sulla nuova imposizione al 15%. Per una volta il nostro Paese, insieme ad altri 15 membri dell’Unione Europea, non è rimasto indietro e ha già concluso i passaggi intermedi.
La novità riguarda le multinazionali e le società nazionali con profitti totali pari o superiori ai 750 milioni di euro, in almeno due degli ultimi quattro esercizi. L’obiettivo è garantire che queste realtà paghino tasse effettive per almeno il 15% in relazione ai redditi prodotti in ogni Paese in cui operano.
Questo sistema, chiamato Pillar 2 e ideato nell’ambito dell’Ocse, tenta di regolamentare un quadro in cui si fanno sentire con forza la digitalizzazione, la globalizzazione e inedite esigenze fiscali internazionali. Agisce quasi in tempo reale come una sorta di bilancia attraverso tre contrappesi: l’imposta minima domestica, integrativa e suppletiva.
I meccanismi dovrebbero creare un effetto domino positivo, nel senso che gli Stati saranno spinti a implementare questi regimi per non rischiare di perdere il maggior gettito fiscale, che potrebbe raggiungere i 190 miliardi di dollari l’anno a livello planetario.
Sembra vada tutto per il verso giusto dunque, fatte salve le diverse tempistiche di ogni nazione. È noto, ad esempio, che due super potenze come gli Usa e la Cina non applicheranno il Pillar 2 entro quest’anno.
Allo stesso modo nessun Paese dell’America Latina e pochissime economie in via di sviluppo l’hanno fatto. In sostanza l’Ue potrebbe apparire isolata in questo scatto in avanti, almeno per il momento.
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