La classe dirigente dei grandi giornali italiani è ormai saldamente repubblicana. In questo senso: i direttori delle principali testate sono giornalisti che si sono formati o per lo meno sono transitati, hanno fatto un’esperienza professionale significativa ne la Repubblica, il quotidiano fondato dal mitico Eugenio Scalfari (soprannominato dai suoi Barbapapà) e ora diretto da Ezio Mauro, che contende al Corriere della Sera il ruolo di numero uno della carta stampata. Negli ultimi mesi c’è stato un gran giro di poltrone nell’informazione, una stagione fitta di nomine come non la si conosceva da tempo. E da questa sfornata è uscito vincente, appunto, il partito per così dire repubblicano. Il che è dispiaciuto al fronte politico opposto, quello vicino al premier. Ma fino a un certo punto: gli uomini del Cavaliere hanno potuto usare quanto successo nella carta stampata per ribaltare le accuse che da anni ricevono di esercitare un monopolio sull’informazione televisiva. «I giornali» dicono «sono tutti in mano ai nostri avversari politici, all’opposizione. Come si fa ancora a sostenere che in Italia l’informazione è controllata da Silvio Berlusconi? È una fandonia».In effetti a scorrere il diario delle nomine appena avvenute si rimane colpiti. Evidentemente la Repubblica è la scuola di giornalismo che ha saputo formare la migliore classe dirigente, il miglior gruppo di giovani professionisti cui attingono i vari editori quando sono alla ricerca di un nuovo direttore per qualcuna delle loro testate. Oppure, come sostengono alcuni, Scalfari, Mauro, e il loro editore, Carlo De Benedetti, hanno saputo creare una macchina di potere davvero potentissima che riesce a piazzare proprie pedine su tutto lo scacchiere significativo dei giornali.
Una carica di pretendentiQualunque sia delle due la spiegazione corretta (forse è un mix) l’elenco dei più recenti cambi di direzione è indicativo. L’ultima nomina in ordine di tempo è quella avvenuta alla metà di giugno scorso e che riguarda l’Ansa, la principale agenzia di stampa di proprietà di tutti gli editori italiani. Molti erano i nomi di pretendenti alla carica di direttore, ogni gruppo editoriale aveva il suo candidato. Dopo un lungo braccio di ferro, sottili giochi diplomatici e di alleanze, alla fine l’ha spuntata Luigi Contu che ha passato gran parte della sua carriera all’Ansa stessa, ma in precedenza ha lavorato anche a lungo proprio a la Repubblica. A volerlo fortemente è stato il presidente dell’Ansa, Giulio Anselmi, anche lui fresco di nomina (fino al maggio scorso era direttore de La Stampa). E anche Anselmi, in qualche modo, è legato al gruppo editoriale de la Repubblica che fa capo a De Benedetti: è stato per anni il direttore del settimanale della casa, L’Espresso.A La Stampa è arrivato alla fine di maggio Mario Calabresi, 39 anni, uno dei più giovani direttori di grandi testate della storia italiana, figlio del commissario Luigi Calabresi ucciso dai terroristi. A volerlo alla guida del quotidiano torinese è stato John Elkann, capo della famiglia Agnelli che attraverso Fiat controlla il giornale. E lo ha scelto anche lui andando nella scuderia de la Repubblica: Calabresi era corrispondente dagli Stati Uniti del quotidiano di Mauro. Altro caso: quando, sei mesi fa, Renato Soru ha comperato L’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci per anni organo ufficiale del Partito Comunista, è andato in casa Scalfari e lì ha trovato i due che gli servivano: il direttore, Concita De Gregorio, e il vicedirettore, Giovanni Maria Bellu, entrambi cresciuti nel giornale romano di via Fiocchetti. E ancora, passando al settore della free press che tanta fortuna ha avuto prima che scoppiasse la grande gelata della pubblicità, ha radici repubblicane anche Enzo Cirillo, direttore di E-polis. Ultimo dato di cronaca: viene da la Repubblica, della quale era editorialista, una delle firme storiche, l’attuale presidente della Rai, Paolo Garimberti. Insomma, un bell’en plein per il trio De Benedetti-Scalfari-Mauro, non c’è che dire.L’altro grande cambiamento nella carta stampata, e qui la Repubblica non c’entra, ha riguardato le direzioni del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore. Alla guida del primo quotidiano italiano al posto di Paolo Mieli è andato Ferruccio de Bortoli, che già aveva avuto la prima poltrona di via Solferino dal 1997 al 2003. A Il Sole 24 Ore, a ricoprire il posto di De Bortoli è andato Gianni Riotta, ex direttore del Tg1, voluto da Emma Marcegaglia, neopresidente della Confindustria, editrice del quotidiano economico e amica di Riotta da lunga data, da quando era presidente dei giovani industriali e Riotta era una presenza fissa nei convegni da lei organizzati.
La minaccia del webQuesto elenco di cambiamenti di seggiole e poltrone, per dire che nel giro di pochi mesi le plance di comando dei principali giornali italiani hanno visto arrivare nuovi personaggi, diverse professionalità. Se poi si aggiungono le novità dei telegiornali (Augusto Minzolini al Tg1) si vede che il panorama dell’informazione nel giro di pochi mesi si è trasformato. C’è bisogno di sangue nuovo, come si dice, di energie fresche soprattutto nel settore della carta stampata, perché sta attraversando una delle crisi più gravi della sua storia, forse la più grave. Una crisi diversa, perché la battaglia si combatte anche contro un nemico che non si conosce, quell’Internet che ha abituato milioni di persone ad avere accesso alle informazioni gratuito e in tempo reale.Questo domani passa attraverso una drastica riduzione di costi che tutte le case editrici hanno già attuato e stanno per attuare. Il primo a muoversi, quasi un anno fa, è stato il gruppo Class Editori che ha concordato con i suoi giornalisti un taglio degli stipendi di circa il 10%. Una misura diffusa all’estero in caso di crisi, e certo non solo nel settore editoriale, ma finora quasi sconosciuta in Italia. Dopo questo caso, che ha fatto un po’ da apripista, si sono mossi i grandi. Tutti hanno annunciato piani di contenimento dei costi. Si ricorrerà alla cassa integrazione, ai prepensionamenti, agli esodi incentivati e a tutte le formule consentite dalle leggi e dal nuovo contratto di lavoro dei giornalisti da poco firmato e che concede agli editori qualche libertà in più rispetto al passato. Le cifre sono impressionanti: il primo editore italiano, La Rcs MediaGroup, ha programmato di ridurre di 180 il numero dei giornalisti nei quotidiani (Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport) e di un centinaio quelli della divisione periodici, la più colpita dalla crisi. Ma discorsi analoghi si stanno facendo a la Repubblica, nel gruppo Caltagirone (Il Messaggero, Il Mattino di Napoli, Il Piccolo di Trieste) e nel gruppo Rieffeser (Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno), a La Stampa, e anche in aziende che pubblicano giornali locali come L’Eco di Bergamo o La Provincia di Como. Nessuno è immune da questo male che ha colpito la carta stampata, da questa pandemia. Giornalisti, editori, pubblicitari, tutto l’ambiente dei mass media dovrà inventarsi un futuro diverso che tenga conto dei nuovi arrivati nel mondo dell’informazione, come il web o gli stessi telefonini. Non sarà una passeggiata.
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