Sarà la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Al pari delle ultime grandi scoperte tecnologiche del passato, come il pc o il motore elettrico, anche l’AI è destinata a cambiare le nostre vite. E la nostra economia. «A partire dal XVIII secolo, la Rivoluzione industriale ha dato il via a una serie di innovazioni che hanno trasformato la società. Forse siamo agli inizi di una nuova era tecnologica, l’era dell’intelligenza artificiale generativa, che potrebbe scatenare un cambiamento di portata simile». Così inizia un report del Fondo monetario internazionale, a firma di Gita Gopinath, economista statunitense di origine indiana e direttrice generale del Fondo.
Intelligenza artificiale tra timori e l’atteso boom di produttività
Ci vorranno forse vent’anni, a detta di alcuni analisti, per vederne gli effetti nella vita di tutti i giorni. Con il motore elettrico e con il pc il boom di produttività è avvenuto a circa 20 anni dalla loro scoperta, quando entrambe le tecnologie sono state adottate da circa la metà delle imprese attive. La data di riferimento, nel caso dell’AI, è il 30 novembre 2022 con il lancio di ChatGPT, l’intelligenza artificiale generativa, perché in grado di produrre contenuti come un essere umano. Prodotta dall’americana OpenAI, ha innescato dall’altra parte dell’oceano la corsa all’intelligenza artificiale da parte dei colossi della tecnologia. E come tutte le innovazioni, con essa sono aumentate anche i timori che un giorno i computer possano spazzare via migliaia di posti di lavoro.
L’impatto sul lavoro
Del resto oltre agli investimenti sono fioccati negli ultimi 12 mesi, anche i report e le analisi da parte delle società di consulenza e delle banche d’affari sul possibile impatto di questa innovazione tecnologica sull’economia. Si va dai 14 milioni di posti di lavoro che andranno persi, secondo il World Economic Forum, perché sostituiti dall’AI, ad addirittura 300 milioni che potrebbero essere automatizzati, secondo le stime di una nota banca d’affari americana. La stessa secondo la quale in Europa due lavoratori su dieci nei prossimi anni rischiano di essere sostituiti da un software. Soprattutto le professioni intellettuali, impiegati e professionisti, dove si stima che tra il 30 e 40% delle mansioni potrebbe essere automatizzato. A essere meno toccati da quest’ondata saranno le professioni ad alto contenuto fisico, come i conduttori di macchinari, gli addetti alle catene di montaggio e gli artigiani.
Secondo il Fondo monetario internazionale nelle economie avanzate, circa il 60% dei posti di lavoro potrebbe essere influenzato dall’intelligenza artificiale. Un impatto che non sempre è negativo: circa la metà potrebbe migliorare la produttività integrando nella propria attività l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Per l’altra metà dei lavoratori, invece, l’AI rappresenta sul serio una concorrente letale: le applicazioni dell’intelligenza artificiale sono in grado di eseguire compiti chiave che attualmente svolgono esseri umani. L’automazione completa di alcune funzioni potrebbe portare al calo di domanda di manodopera se non alla scomparsa di molti posti di lavoro.
Il mercato dell’AI promette bene e potrebbe arrivare a quasi 950 miliardi di dollari fra sei anni, secondo recenti stime pubblicate da Confindustria. I colossi americani della tecnologia informatica già si stanno sfregando le mani. A partire dai loro ricchi azionisti. La corsa all’AI ha fatto aumentare il valore di Borsa dei cosiddetti “Magnifici sette” (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla) di oltre il 98% portandole a un valore impensabile, fino a pochi anni fa, e che preannuncia forse la portata di questa nuova rivoluzione tecnologica: 12 mila miliardi di dollari, una cifra pari a tutte le azioni quotate in Germania, Regno Unito, Francia, Giappone e Cina, o se volete pari a poco più di quattro volte il debito pubblico italiano.
Il ruolo della politica
Miliardi che giustificano le preoccupazioni delle istituzioni, che in alcuni casi ipotizzano scenari alla Blade Runner. «A causa della capacità unica dell’AI di imitare il pensiero umano, dovremo sviluppare un insieme unico di regole e politiche per assicurarci che sia utile alla società. E queste regole dovranno essere globali», ha avvertito l’economista Gopinath. L’intelligenza artificiale ha un potere di influenza anche sulla disuguaglianza di reddito e ricchezza all’interno dei Paesi. «Potremmo vedere una polarizzazione all’interno delle fasce di reddito, con i lavoratori che riescono a sfruttare l’AI che potrebbero aumentare la loro produttività e anche i loro salari e quelli che non possono restare indietro», ha aggiunto Kristalina Georgieva, direttrice operativa del Fondo monetario internazionale. L’AI è destinata a far aumentare la disparità anche tra le economie. Quelle più ricche, nei mercati avanzati e in alcuni Paesi emergenti, saranno quelle meglio attrezzate per l’adozione dell’AI rispetto ai Paesi a basso reddito, sempre secondo il Fmi che ha analizzato lo stato di preparazione verso questa tecnologia di 125 Stati, mettendo ai primi posti accanto agli Usa, Singapore e i paesi del Nord Europa, come la Danimarca.
La politica è stata chiamata a prendere provvedimenti di fronte ai possibili utilizzi distorti di questa tecnologia. La prima a muoversi sul fronte normativo è stata la Ue, confermando anche nel caso dell’AI l’adagio degli ultimi trent’anni: negli Usa si innova, in Cina si produce, in Europa si legifera. Lo scorso 13 marzo il Parlamento europeo ha approvato la legge sull’intelligenza artificiale. Le nuove norme mettono fuori legge alcune applicazioni di AI che minacciano i diritti dei cittadini europei. Tra queste, i sistemi di categorizzazione biometrica basati su caratteristiche sensibili, e l’estrapolazione indiscriminata di immagini facciali da internet o dalle registrazioni dei sistemi di telecamere a circuito chiuso per creare banche dati di riconoscimento facciale. Vietate anche tecnologie che potremmo definire “orwelliane”: i sistemi di riconoscimento delle emozioni sul luogo di lavoro e nelle scuole, i sistemi di credito sociale, le pratiche di polizia predittiva, basate esclusivamente sulla profilazione o sulla valutazione delle caratteristiche di una persona, e i sistemi che manipolano il comportamento umano o sfruttano le vulnerabilità delle persone.
E in Italia? Le cifre, se paragonate a quelle del nord America, sono ancora lillipuziane. Il mer cato italiano dell’AI nel 2023 era ancora sotto al miliardo di euro, e viaggiava a una cifra di 760 milioni di euro, secondo i dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano. La gran parte degli investimenti, secondo lo studio, è destinata a soluzioni di analisi e interpretazione testi per ricerca semantica, di classificazione, sintesi e spiegazione di documenti o agenti conversazionali tradizionali. Ancora limitati i progetti di Generative AI, a cui sono stati destinati appena 38 milioni di euro. Mentre solo sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato un qualche progetto di AI, almeno a livello di sperimentazione, anche se quasi tutte hanno già discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI. La quinta rivoluzione industriale, da noi, è rinviata a data da destinarsi.
Questo articolo è parte de L’AI fa già impresa, inserto di Business People di giugno 2024. Scarica il numero o abbonati qui
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