Lavoro all’estero, calano gli italiani che vogliono trasferirsi

Una nuova ricerca evidenzia che la percentuale italiana di possibili expat è nettamente inferiore alla media globale

Laureati in fuga dall'Italia: -132 mila in 10 anni

La tanto temuta fuga di cervelli dall’Italia sembra aver invertito la tendenza. Stando ad un nuovo studio condotto da Boston Consulting Group, è scesa infatti la percentuale dei talenti nostrani propensa ad andare all’estero per lavoro.

Secondo le proiezioni del report intitolato Decoding global talent 2024, infatti, la percentuale italiana è scesa intorno al 15%, numero significativamente inferiore rispetto al livello globale che si attesta sul 25% circa. La mobilità professionale sembra essere un tema molto meno presente per i lavoratori italiani e non solo interna al Paese.

Oltre a muoversi meno da Sud a Nord, gli italiani sarebbero infatti meno interessati a espatriare. Il report, che raccoglie le risposte di 150mila lavoratori in 180 Paesi, ha evidenziato che solo 1 italiano su 7 cerca attivamente opportunità di lavoro all’estero: nel 2018 la percentuale era del 17%, mentre nel 2020 era salita addirittura al 57% (condizionata dalla pandemia da Covid-19). Il dato sale al 20% tra gli under 30 e al 24% per gli italiani con laurea, master o dottorato.

Tra i settori più propensi a viaggiare, quello legale, del design, dell’architettura e in generale le professioni creative. Stando al report, le mete privilegiate sono la vicina Svizzera (prima scelta anche nel 2020), seguita da Spagna, Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Australia, Canada, Austria e Olanda.

Matteo Radice, managing director e partner di Bcg, ha dichiarato: «ci sono alcune peculiarità che distinguono il nostro Paese. Innanzitutto una percentuale più bassa di professionisti disposti a trasferirsi all’estero: se la media globale è intorno al 25%, il dato italiano è di 10 punti più basso, intorno al 15%. Questo si deve almeno a 3 fattori: il maggiore attaccamento al contesto locale, la qualità della vita e una minore percezione delle opportunità di lavoro che ci sono all’estero».

Tra coloro che decidono invece di spostarsi, la principale ragione è data da un’offerta di lavoro concreta (67%), seguita da fattori economici (66%), miglioramento della qualità di vita complessiva (62%) e la crescita personale (55%). Tra i motivi per restare, invece, per il 54% al primo posto c’è l’impossibilità di portare con sé familiari e partner, quindi il legame affettivo per l’Italia (26%).

Ecco perché i manager italiani preferiscono lavorare all’estero

Interessanti anche i dati relativi alle persone che cercano di venire a lavorare in Italia: il nostro Paese è la principale attrattiva per l’Argentina (19%), seguita da Egitto (11%), Marocco, Romania e Tunisia (10%). Per il 72% del campione, la qualità della vita in Italia è il motivo principale che li spinge a trasferirsi, quindi qualità delle opportunità lavorative e cultura accogliente e inclusiva (45%), costo della vita (34%) e ambiente family-friendly (33%). L’Italia è però solo al 12° posto per attrattività complessiva, una posizione in meno rispetto al 2020.

«Dallo studio emerge che nel nostro Paese c’è una percezione di complessità burocratica, ad esempio su permessi di soggiorni e visti – ha sottolineato Radice sulle pagine del Sole 24 Ore – Poi c’è una struttura fiscale e contributiva che è particolarmente onerosa per i lavoratori altamente qualificati e con compensi elevati, che possono trovare altrove regimi fiscali più interessanti. A questo si aggiunge la lingua: in Italia l’inglese non è così diffusamente parlato come in altri paesi europei e le persone che sono ben incanalate verso una carriera internazionale utilizzano l’inglese come lingua di comunicazione».

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