Big data: cosa sono, a cosa servono e perché sono così importanti

Ne sentiamo parlare continuamente, sappiamo che stanno cambiando la società, ma se ci venisse chiesto di spiegare cosa sono, in molti si troverebbero in difficoltà…

Big data. Due parole che dicono tutto e allo stesso tempo dicono niente. Negli ultimi se n’è discusso tantissimo, ne abbiamo parlato e sentito parlare ma, se ci venisse chiesto di spiegare cosa siano in sostanza, molti di noi si troverebbero in difficoltà e la traduzione letterale, grandi dati, sarebbe più fuorviante che utile.

Chi produce i Big data

È bene sapere che quando si parla di big data, ci si riferisce non tanto alla quantità di dati prodotti ma alle tecnologie necessarie per filtrarli, elaborarli e ricavarne informazioni. I dati possono essere human generated, machine-generated o business-generated. Più semplicemente, possono essere prodotti da noi o da sensori e rilevatori. Quelli di un automobile, di un dispositivo montato in un palazzo o anche solo di un frigorifero, se questo è connesso. Per quanto riguarda la prima tipologia, bisogna sapere che creiamo dati che vengono registrati e raccolti all’istante in ogni momento: facendo acquisti online, usando i motori di ricerca, visitando pagine in internet, creando reti di contatti su Facebook, LinkedIn, Instagram ecc, semplicemente accendendo il cellulare e agganciando una certa cella, utilizzando il bancomat o la carta di credito per un pagamento, quando ci serviamo del Telepass, quando scarichiamo un’app e garantiamo accesso alle nostre informazioni, quando utilizziamo una carta fedeltà al supermercato o in libera e il nostro acquisto non è più anonimo, abbonandoci a una qualche piattaforma audio/video.

Douglas Laney e il modello delle 3V

Quando si parla di big data, insomma, ci si riferisce a una quantità di “data” troppo grande per essere gestita con tecnologia e metodi ordinari. Nei primi anni Duemila, l’analista informatico Douglas Laney elaborò un modello detto delle 3V. I big data erano tali perché erano grandi e crescevano, con il passar del tempo, per volume, varietà (le fonti che li producono sono, come detto, molteplici) e velocità. Negli anni sono state aggiunte altre due V: veridicità (i big data offrono una quantità sterminata di informazioni che, però, rischiano di essere meno attendibili di quelle ricavate con i vecchi sistemi ETL, cioè di estrazione, trasformazione e caricamento dei dati) e valore (queste informazioni se opportunamente lavorate possono avere un valore enorme). Secondo il Journal of Computer Engineering dell’IORS (International Organization of Scientific Research), fino al 2003 erano stati prodotti 5 exabyte di dati digitali. Per produrre quella stessa quantità di dati, nel 2011 sono bastati due soli giorni e nel 2013 appena 10 minuti. Secondo il giornale, la quantità di dati immagazzinati nei computer tende a raddoppiare ogni 12-18 mesi. Oggi siamo nell’ordine degli zettabyte, cioè dei miliardi di terabyte. Per stivare questa mole di informazioni, ovviamente, occorrono dataset mostruosamente capienti e potenti. Sono poi necessari algoritmi che le colleghino e che ne permettano la visualizzazione e realizzino modelli interpretativi e predittivi.

A cosa servono i big data

Dal micro al macro, l’utilizzo di big data può consentire di fare cose un tempo impensabili: conoscere nel dettaglio le abitudini di un singolo consumatore (mettendo insieme i suoi acquisti e le sue ricerche online, i suoi movimenti abituali registrati tramite la geolocalizzazione, l’utilizzo di carta di credito e bancomat, le informazioni ricavate dal suo cellulare ecc…) e di una popolazione intera, stabilire correlazioni tra abitudini ed eventi possibili (per esempio, che un certo consumatore possa sviluppare certe patologie o che possa diventare insolvente), monitorare in tempo reale i dati metereologici e anticipare l’andamento del raccolto in una certa area. I big data stanno cambiando la società in cui viviamo e questo crea opportunità ma anche pericoli. La conseguenza è che vivremo in un mondo in cui i nostri bisogni e le nostre preferenze potranno essere soddisfatte in maniera molto puntuale ma in cui saremo più esposti e vulnerabili perché il rischio è la compressione della sfera privata. Una search su Google può permettere a un governo di sapere che in una certa area c’è un problema ma può anche mettere nei guai chi cercasse libri sgraditi o frequentasse luoghi ritenuti pericolosi da un governo dispotico e illiberale.

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