AI e posti di lavoro, a rischiare maggiormente sono contabili e bancari

AI e posti di lavoro, a rischiare di più sono contabili e bancari© Shutterstock

L’AI, croce e delizia dei nostri tempi, rappresenta una grande opportunità in termini di crescita del Pil, ma mette anche a rischio diversi milioni di posti di lavoro: fra le figure più a rischio ci sono contabili e bancari. Fra avvocati, magistrati e dirigenti finanziari o specializzati in risorse umane – invece – c’è un alto tasso di complementarietà con le nuove tecnologie.

Il grado di sostituzione o complementarietà aumenta in maniera direttamente proporzionale al livello di istruzione, “come dimostra il dato secondo cui nella classe dei lavoratori a basso rischio il 64% non raggiunge il grado superiore di istruzione e solo il 3% possiede una laurea”. A dirlo è uno studio di Confcooperative e Censis.

Secondo quanto rilevato, l’intelligenza artificiale può spingere la crescita del Paese, a tal punto che il Pil italiano potrebbe crescere in 10 anni dell’1,8%, una percentuale che equivale a 38 miliardi di euro. Tuttavia, con l’AI c’è il risvolto della medaglia e il rischio che 6 milioni di persone perdano il proprio posto di lavoro. Fra queste le figure maggiormente vulnerabili sono i contabili e i bancari. Invece, 9 milioni dovrebbero integrare le proprie competenze e accettare che questa nuova tecnologia le affianchi.

AI e livello di istruzione

Dallo studio emerge che “per le professioni ad alta esposizione di sostituzione, la maggior parte dei lavoratori (il 54%) ha un’istruzione superiore e il 33% un diploma di laurea. Inversamente, i lavoratori che più vedranno l’ingresso complementare delle IA nei processi produttivi posseggono una laurea (il 59%) mentre sono il 29% quelli con un diploma superiore”.

Il fatto che il livello di istruzione sia un minus rispetto al fatto che AI e posti di lavoro siano compatibili potrebbe portare a un aumento del gender gap. Le donne, infatti, sono maggiormente vulnerabili rispetto agli uomini. Sono il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità.

“Il paradigma va subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa”, ha detto Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative.

La situazione a livello europeo

Il divario è presente anche rispetto ai sistemi imprenditoriali dei Paesi che fanno parte dell’Unione europea. Infatti, è stato registrato come, nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane abbia utilizzato l’IA, contro il 19,7% della Germania e la media europea del 13,5%. Il gap si accentua nel commercio e nel settore manifatturero, dove l’Italia registra tassi di adozione più bassi rispetto alla media Ue.

Si tratta, fra le altre cose, di una diretta conseguenza degli investimenti nell’intelligenza artificiale. Il nostro Paese, infatti, investe in ricerca e sviluppo l’1,33% del Pil rispetto alla media europea del 2,33%. L’obiettivo comunitario è arrivare a una media del 3% per il 2030, percentuale già superata dalla Germania con il 3,15%. Secondo il Government Ai Readiness Index 2024, l’Italia è in 25esima posizione e davanti a lei ci sono ben 13 Paesi europei.

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