«Il vero progresso è quello che rende migliore l’uomo», sosteneva Adriano Olivetti. Ora, certamente il più citato e, probabilmente, celebrato imprenditore italiano pronunciò questa frase dandole un significato ben più ampio e “alto”, ma è anche vero che fu, tra le altre cose, anche un anticipatore dei concetti di reskilling e upskilling: credeva tanto nel miglioramento continuo e nella formazione dei suoi dipendenti da introdurre diverse iniziative per promuoverle. Primo tra tutte il Centro di formazione Olivetti a Ivrea, dove appunto i lavoratori potevano seguire corsi di aggiornamento e riqualificazione.
Da allora di proverbiale acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, ma la verità è che l’avvento della quarta rivoluzione industriale non ha fatto altro che amplificare l’urgenza e la necessità di rivedere e aggiornare le competenze dei lavoratori, anche di quelli senior, sia per sia per evitare di tagliare fuori dal mondo degli occupati una quantità enorme di persone formatesi in un’altra epoca, sia per superare la carenza di competenze interne alle imprese, sia come leva di retention. Un aspetto da non sottovalutare, quest’ultimo, che emerge anche da una recente suvey sul Talent Management di Cegos Italia, filiale italiana di uno dei principali player internazionali di Learning & Development.
Programmi di formazione e sviluppo superano anche lo smart working
Secondo la ricerca, tra le misure di Attraction & Retention già introdotte dalle aziende, il miglioramento dei programmi di formazione e sviluppo si colloca al primo posto con una percentuale del 53%, superando anche smart working (49%) e incremento delle iniziative di welfare (46%). Offrendo opportunità di sviluppo, infatti, si creano ambienti che favoriscono il coinvolgimento e i legami emotivi, contribuendo a mantenere i lavoratori motivati e con skill elevate. Inoltre, essendo l’identificazione e lo sviluppo del potenziale dei dipendenti uno degli obiettivi primari per le organizzazioni (63%), per otto aziende su dieci la formazione svolge un ruolo importante nella strategia complessiva di Talent Retention.
Del resto, che sia necessaria una riconfigurazione urgente del capitale umano, investendo in modo rilevante anche sull’apprendimento permanente degli adulti, lo ha messo in evidenza anche l’ultimo Future of Jobs Report pubblicato dal World Economic Forum, secondo il quale gli investimenti nella riqualificazione dell’attuale forza lavoro globale potrebbero garantire una crescita del Pil mondiale di 6,5 trilioni di dollari entro il 2030. Una cifra rilevante che spiega bene perché, già nel 2020, proprio il Wef abbia varato la piattaforma Reskilling Revolution, pensata proprio per far incontrare le iniziative pubbliche e private in questo campo, trasformando su scala globale l’istruzione, le competenze e l’apprendimento per preparare circa 1 miliardo di persone all’economia e alla società di un futuro ormai alle porte.
Il reskilling e l’upskilling dell’attuale forza lavoro globale potrebbero garantire una crescita del Pil mondiale di 6,5 trilioni di dollari entro il 2030
In effetti, come evidenzia un’indagine realizzata dall’Osservatorio HR Polimi in collaborazione con Bva Doxa, per le direzioni Hr, più che la riduzione dell’organico, il principale impatto di soluzioni AI nei prossimi cinque anni sarà l’evoluzione dei ruoli e delle competenze. Addirittura, secondo il 62%, l’ascesa dell’AI generativa porterà a un arricchimento di competenze e per il 34% una riqualificazione di ruoli in declino. E per affrontare questi cambiamenti di ruoli e competenze, serviranno – di nuovo – soprattutto azioni di formazione.
Anche per il Wef, il 44% delle competenze fondamentali dei lavoratori cambierà nel breve termine, ossia nel prossimo quinquennio, e le conoscenze richieste dalla digitalizzazione (hard skill) dovranno essere necessariamente integrate dall’importanza crescente delle soft skill cognitive e relazionali, attività non sostituibili del fattore umano che, a fronte della crescente complessità della risoluzione dei problemi sul luogo di lavoro, costituiscono il background indispensabile per produrre soluzioni innovative: si va dal pensiero analitico e creativo, alle capacità di resilienza e flessibilità, passando per curiosità, capacità di leadership ed empatia. Un aspetto che sembra interessare in modo particolare anche gli stessi lavoratori: stando al sondaggio 2024 Global Human Capital Trends di Deloitte Consulting, il 76% di loro desidera, infatti, che la propria organizzazione li supporti nell’immaginare come utilizzare le competenze umane in un contesto sempre più tecnologico.
Insomma, se Big data, Intelligenza artificiale e i conseguenti nuovi modi di lavorare stanno avendo un impatto decisivo sulle organizzazioni in termini di competenze, la situazione esige sì misure urgenti, ma non dovrebbe creare inutili allarmismi. Le nuove tecnologie richiedono ovviamente le conoscenze necessarie per utilizzarle, ma non stanno affatto mettendo da parte la componente umana. E le stesse novità tecnologiche possono rivelarsi utili proprio per lo sviluppo dei programmi formativi. A questo proposito, i risultati dell’ultima survey Cegos Observatory Barometer Trasformations, skills and learning – condotta in nuove Paesi tra Europa, Asia e America Latina, su aziende con almeno 50 dipendenti – mostrano come la strada intrapresa sembri quella giusta. Innanzitutto, il 57% dei responsabili delle Risorse Umane a livello internazionale (38% in Italia) intende sostenere i dipendenti nell’aggiornamento delle competenze e assumere nuovi profili (56%, +10% rispetto al 2022, 52% Italia).
Nella Penisola lo sviluppo di competenze legate ad altre professioni, per la mobilità interna e il ricollocamento, è considerato dal 55% degli HR (50% internazionale). Questo impegno prevede al primo posto il potenziamento delle digital skill (42% vs 33% Ita) – , ma non mancano le soft skill (38%, 37% Ita), con particolare enfasi sull’agilità e l’adattabilità (53%), seguite dal miglioramento delle competenze manageriali (35% vs 37% Ita) e di business (29% vs 17% Ita). Inoltre, il 63% degli Hr Manager prevede di utilizzare l’AI per personalizzare i percorsi formativi, anche se a oggi solo il 10% di loro (5% Ita) l’ha effettivamente già impiegata come risorsa di apprendimento. Dal canto suo, il 31% dei dipendenti (24% Ita) afferma di impiegare o aver già utilizzato strumenti di AI generativa per formarsi e il 40% ha in programma di farlo nel prossimo futuro. Infine, l’85% dei dipendenti a livello internazionale (+7% rispetto al 2022) è aperto all’idea di una completa trasformazione di carriera, se potesse portare maggiore senso alla propria vita professionale. Tanto che il 76% sarebbe disposto a partecipare a percorsi formativi al di fuori del proprio orario di lavoro.
Articolo tratto da Il talento? Prima si sviluppa poi si gestisce, terza edizione dello speciale Obiettivo Formazione, pubblicato sul numero di Business People di ottobre 2024. Scarica il numero o abbonati qui
© Riproduzione riservata