Fragile, isolata e eterodiretta. È la società italiana oggi, alle prese con una crisi che la sta letteralmente sfiancando. A dirlo è il Censis nelle sue ‘Considerazioni generali’ del 45esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese. Secondo il Centro Studi se nel picco della crisi (ovvero nel biennio 2008-2009) avevamo dimostrato una tenuta superiore a tutti gli altri, guadagnandoci una good reputation internazionale, oggi invece siamo fragili a causa di una crisi globalizzata e che si esprime sul piano interno con un sentimento di stanchezza collettiva e di inerte fatalismo rispetto al problema del debito pubblico. Siamo isolati, perché fuori dai grandi processi internazionali (rispetto all’Unione europea, alle alleanze occidentali, ai mutamenti in corso nel vicino Nord Africa). E siamo eterodiretti, vista la propensione degli uffici europei a dettarci l’agenda. I nostri antichi punti di forza (la capacità di adattamento e i processi spontanei di autoregolazione nel welfare, nei consumi, nelle strategie d’impresa) non riescono più a funzionare. Viviamo, secondo il Censis, esprimendoci con concetti e termini che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni della vita collettiva (basti pensare a quanto hanno tenuto banco negli ultimi mesi termini come default, rating, spread, ecc.) e alla fine ci associamo – ma da prigionieri – alle culture e agli interessi che guidano quei concetti e quei termini. Eppure di preoccupazioni che riguardano la nostra quotidiana ne abbiamo, eccome. Basti pensare al mondo del lavoro. Se il 2009 si era chiuso con la perdita di 380 mila posti di lavoro e il 2010 con un calo di 153 mila unità; sembra che il saldo del 2011 possa essere a segno positivo (+0,4% gli occupati nel primo semestre). Certo c’è da segnalare la riduzione dell’occupazione a tempo indeterminato (-1,3% nel 2010 e -0,1% nel primo semestre del 2011) e la crescita del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c’è una prima tiepida crescita: +0,2%). I più colpiti sono stati i giovani, travolti dalla crisi. Tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati è diminuito di 980 mila unità, e tra i soli italiani le perdite sono state oltre 1.160.000. In Italia l’11,2% dei giovani di 15-24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%. Di contro, da noi risulta decisamente più bassa la percentuale di quanti lavorano: il 20,5% tra i 15-24enni (la media Ue è del 34,1%) e il 58,8% tra i 25-29enni (la media Ue è del 72,2%). A ciò si aggiunga che tra le nuove generazioni sta progressivamente perdendo appeal una delle figure centrali del nostro tessuto economico, quella dell’imprenditore. Solo il 32,5% dei giovani di 15-35 anni dichiara di voler mettere su un’attività in proprio, meno che in Spagna (56,3%), Francia (48,4%), Regno Unito (46,5%) e Germania (35,2%).
© Riproduzione riservataCensis, Italia sola e fragile davanti alla crisi
La Finanza internazionale ci detta l’agenda, ma i problemi reali sono altri. Solo tra i giovani persi oltre 1 milione e 100mila posti di lavoro