Attenti ai post su Facebook, possono costare caro. Oggi basta uno sfogo di troppo sulla propria bacheca on line per perdere il posto. Perché con Facebook o Twitter vi sentono tutti, compreso l’ufficio del personale, e l’ingiuria si trasforma in diffamazione, reato ancor più grave. I casi non mancano. Stephanie Bon, 37anni, dipendente della Lloyd Banking Group, all’arrivo del nuovo amministratore delegato ha postato su Facebook: «Il nuovo a.d. prende 4 mila sterline l’ora, io sette, non è giusto». Licenziata in tronco. Stessa sorte per una dipendente di una compagnia di assicurazioni svizzera, rimasta a casa dal lavoro con la scusa che la sua emicrania le impediva di lavorare al computer e poi scoperta a chattare sui social network. E ancora. Kimmberly Swann, dipendente della Ivell Marketing & Logistic è stata licenziata per aver scritto sulla sua bacheca «il mio lavoro è noioso». In Italia un dipendente del Superstore Coop di Trento ha perso il posto per un commento maligno scritto su Facebook. Spedita a casa anche una dipendente della Danieli per aver confessato, online, di sognare un bar a Santo Domingo dopo ogni stressante giornata di lavoro in ditta. A New York una cameriera di una pizzeria, Ashley Johnson, si è invece lamentata del troppo lavoro e delle poche mance. Licenziata non appena il datore di lavoro ha letto il post. In Francia la Alten ha lasciato a casa tre dipendenti che avevano pubblicato on line alcune critiche. In Canada, infine, sette addetti della catena di supermercati Farm Boy hanno aperto un gruppo su Facebook per svelare i retroscena del loro lavoro. Scoperti e licenziati. «Su Internet», commenta l’avvocato Salvatore Trifirò, «non solo le espressioni irriguardose, ma anche una critica sensata può avere valenza sotto il profilo disciplinare e portare al licenziamento».
ARTICOLO PRINCIPALE: Licenza d’insulto
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