ManpowerGroupha pubblicato in Italia i risultati della ricerca “Skills Revolution Reboot” presentata al WEF sull’impatto del Covid-19 sulla digitalizzazione e sulle nuove competenze. L’indagine, condotta su un panel di oltre 26 mila datori di lavoro in tutto il mondo, ha rilevato che sono proprio le aziende che implementano processi di digitalizzazione a creare un numero maggiore di posti di lavoro.
In Italia, in risposta alla pandemia, ben il 43% delle aziende sta accelerando l’implementazione di processi di digitalizzazione, mentre solo il 9% li ha temporaneamente sospesi. Meglio della media globale, dove il dato sulla crescita della digitalizzazione e automazione delle aziende si attesta al 38% contro il 17% di attività temporaneamente ferme.Al contempo, le prospettive per la forza lavoro in Italia permangono positive, con un numero maggiore di posti di lavoro creati rispetto a quelli eliminati. E l’85% delle aziende che hanno avviato un processo di automazione dichiara di voler aumentare o mantenere il numero dei propri dipendenti (86% a livello globale).
Stando ai risultati della ricerca, i settori che prima della pandemia avevano rallentato processi di automazione, ora stanno recuperando. I settori della finanza, delle assicurazioni, immobiliare e dei servizi alle imprese stanno raddoppiando l’impegno per implementare processi di digitalizzazione come conseguenza della crisi, in particolare per quanto riguarda le mansioni amministrative e a contatto con il pubblico. I settori maggiormente colpiti dalla crisi all’inizio, tra cui quello manufatturiero, l’edilizia e il retail, si dividono tra quelli volti all’automazione e alla digitalizzazione per adattarsi rapidamente e quelli che adottano un approccio da cauti osservatori e sospendono i propri progetti. In Italia il 40% dei datori di lavoro ha in programma di incrementare l’automazione, un dato che a livello globale si attesta invece al 21%.
L’incremento del personale riguarda in particolare:
la funzione amministrativa/uffici (14%)
l’IT (14%)
la produzione (21%).
Per quanto concerne la ripresa economica, questa sta progressivamente assumento la cosiddetta forma a K, ovvero con una curva in calo e una in crescita,che corrispondono ai profili più o meno richiesti. Alcuni settori e persone si stanno riprendendo più rapidamente e meglio – nei settori in crescita e con skills fortemente richieste – mentre altri sono a rischio o stanno ulteriormente perdendo terreno.I profili più richiesti sono:
Meccanici riparatori, ingegneri robotici
Ingegneri Fintech, Risorse Umane
Consulenti strategici, business partner
Specialisti di digital marketing e strategia
Professioni sanitarie
Operatori di helpdesk IT
Esperti di cyber security
Project manager
Data analyst
Operatori di contact center da remoto
Specialisti di process automation e di digital transformation
Sviluppatori di App
Analisti di management e organization
Specialisti della logistica e di magazzino
Specialisti di Internet of Things
Specialisti di risk management
Specialisti di salute mentale
I profili meno richiesti invece comprendono:
Manager generici e operations manager
Personale HR generico
Amministrativi ed executive assistant
Operai di fabbrica e addetti all’assemblaggio
Impiegati di uffici postali
Addetti al customer service
Addetti a informazioni clienti e customer service
Installatori di elettronica e telefonia
Operai edili
Impiegati addetti a data entry
Manager in ambito amministrativo e di servizi alle imprese
Impiegati ufficio paghe, contabilità e amministrazione
Impiegati di banca
Mentre le aziende si trasformano e implementano processi di digitalizzazione, mutano anche le esigenze in termini di skills. Entro il 2025, le mansioni lavorative saranno suddivise al 50% tra uomini e macchine, mentre 97 milioni di nuove occupazioni saranno richieste nei settori Intelligenza artificiale, green economy e attività connesse all’assistenza. Questa Skills Revolution, unita alla crisi, accelera la richiesta di skills sia trasversali, sia tecniche. Le soft skills, quali la comunicazione, la gestione del tempo e delle priorità, l’adattabilità, il pensiero analitico, l’empatia e la capacità di prendere iniziative, sono più che mai valorizzate e richieste dalle aziende. Le imprese stanno infatti comprendendo che hanno bisogno di persone aperte all’apprendimento, agili rispetto alle nuove mansioni e pronte e resilienti. In Italia circa il 30% delle aziende investe sulle soft skills. Oggi, il modo di pensare analitico e la capacità comunicativa rappresentano solo alcune delle soft skills utili per creare maggiori opportunità di lavoro e resilienza a lungo termine, mantenendo vivo il desiderio di apprendere e crescere professionalmente. Le competenze richieste cambiano sempre più velocemente, per questo le organizzazioni hanno bisogno di rinnovare le proprie strategie di sviluppo dei talenti e della forza lavoro per attrarre, sviluppare, coinvolgere e trattenere i migliori talenti
© Riproduzione riservata