Felicità a lavoro: italiani meno soddisfatti della media mondiale

I più contenti risultano amministratori delegati e dipendenti delle pmi

Il tema della reale felicità al lavoro è nuovo in Italia, ma ormai tenuto in alta considerazione all’estero, in particolare nei Paesi nord europei. Eppure stando alla ricerca Genuine Happiness at Work condotta dalla società People3.0 dovremmo porci il problema con grande serietà, visti i suoi innegabili effetti positivi: oltre il 50% degli intervistati riconosce di essere più produttivo e più disponibile a considerare posizioni e punti di vista differenti. Inoltre la felicità comporta un maggiore livello di energia personale per oltre il 70% degli intervistati e più del 50% si dichiara meno stressato, più produttivo, e con più empatia e comprensione verso gli altri: tutti fattori fondamentali per la buona riuscita del lavoro in team.

Quanto sono felici gli italiani sul lavoro?

Ma se la felicità sul lavoro ha certamente effetti positivi, il passo successivo è senz’altro chiedersi quanto siano soddisfatti gli italiani. E la ricerca ha provato a rispondere. Un primo dato significativo è relativo al confronto Italia/Mondo sulla frequenza della felicità al lavoro, che evidenzia una sostanziale divergenza tra il nostro Paese, dove si è felici con frequenza settimanale nel 23% dei casi, e il resto del mondo dove si è felici ogni giorno per il 32% dei casi.Circa i ruoli aziendali, gli amministratori delegati sono i più felici (l’82% è felice con frequenza settimanale: ogni giorno, più di un giorno a settimana, un giorno a settimana), mentre si scende al 52% per i dipendenti. Il confronto con il resto del mondo è penalizzante per l’Italia: all’estero i dipendenti sono felici almeno un giorno a settimana nel 73% dei casi. Tra i manager, il 16% delle donne italiane non ha mai avuto o avuto raramente un giorno felice al lavoro, mentre negli uomini manager questo dato è del 6%. Per i dipendenti i fattori più importanti di felicità sono imparare qualcosa, fare un lavoro di cui si è orgogliosi e fare un lavoro piacevole, mentre meno importante sono l’aspetto economico, i benefit accessori e il supporto del dirigente.In merito alla tipologia di azienda, invece, i lavoratori delle piccole e medie imprese italiane sono mediamente più felici (per il 64% con frequenza almeno settimanale), rispetto ai colleghi di aziende più grandi, anche se lo scarto non è elevato. La fascia più infelice è quella delle aziende tra i 100 e 1.000 dipendenti. Nel resto del mondo la correlazione grandezza dell’azienda-felicità dei dipendenti è inversa, con le PMI che sono le aziende con i lavoratori meno felici, mentre il dato migliore è nelle grandi aziende.Infine, sul settore delle aziende, il report denota che nel non profit si ha una maggiore frequenza di giorni felici al lavoro; in particolare spicca il dato dell’oltre 40% degli addetti nel terzo settore felici più di una volta alla settimana. La spiegazione di tali dati – confermati anche nel resto del mondo – è nel forte significato del proprio lavoro in questo tipo di aziende, con una ricaduta significativa in termini di accresciuta comprensione verso le altre persone e più felicità anche fuori dal lavoro. Nei settori pubblico e privato il dato è intorno al 30% per entrambi.

Cosa rende felici gli italiani

Dal report della ricerca di People3.0 si evince chiaramente che i fattori principali in grado di rendere felici gli italiani al lavoro sono vari: si potrebbe pensare alla prevalenza del riconoscimento economico, mentre le risposte si concentrano sull’orgoglio e la consapevolezza di ciò che si fa, la significatività delle mansioni, l’opportunità di acquisire nuove competenze, la crescita continua e la qualità del rapporto con i colleghi. Risultati, questi, in linea con il resto del mondo, a riprova che il sentiment dei dipendenti circa il vissuto al lavoro è trasversale e che rispetto ad emolumenti o benefici addizionali, ciò che incide realmente è la condizione generale del lavoro e la soddisfazione nel svolgere il proprio ruolo.«Il tema Genuine Happiness at work», afferma Anna Piacentini, Ceo di People3.0 «non va confuso con un concetto di welfare aziendale evoluto, inteso come servizi in azienda per far stare meglio le persone, perché non è questo che rende davvero felici i lavoratori. Il modello Happiness at work di riferimento è centrato su due temi: i risultati e le relazioni. Per ogni lavoratore è importante constatare che il proprio lavoro ha significato e che il ruolo ricoperto è coerente con il proprio sistema valoriale; questo genera senso di orgoglio e appartenenza ad un team e ad un’organizzazione. La qualità delle relazioni con colleghi e manager è il fattore che definisce la qualità dell’ambiente di lavoro, la fiducia, la propensione all’impegno e all’aiuto spontaneo e la volontà di raggiungere insieme risultati comuni».

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