Breve premessa: qui non stiamo parlando di quanto sia importante la formazione professionale o avere un bel profilo su LinkedIn. Lo sapete già, perché non si parla d’altro: sono questi i nuovi mantra di chi vuol far carriera in ufficio, o semplicemente restarci. No. Qui proviamo – ma sarà difficile e va detto subito – a ribaltare la prospettiva. Non più adattarsi a un lavoro che cambia, ma cambiare il proprio (modo di) lavorare e giocare d’anticipo. Come sempre, i più bravi ci riescono meglio e prima degli altri, e questo regala loro un enorme vantaggio competitivo. Ma come fanno? Qual è la differenza fra chi esce di gara, chi resta in corsa e chi taglia il traguardo davanti a tutti? Lo abbiamo chiesto a manager, formatori, direttori del personale e cacciatori di teste. Ne esce un quadro molto stimolante per chi abbia voglia di mettersi in gioco davvero. Ma attenzione: le vecchie regole non valgono più.
SCORCIATOIE PER IL SUCCESSOQualcuna c’è e bisogna conoscerla. Chi pensa che la crescita sia ancora lineare si sbaglia. «Oggi la carriera è diventata proteiforme», ci racconta Paolo Iacci, professore all’università Liuc di Castellanza e presidente di Aidp Promotion, l’associazione italiana dei di rettori del personale. «Si cambia più spesso e l’aleatorietà del mercato spesso impedisce passaggi lineari. Talvolta i cambi sono alla pari, o addirittura su posizioni meno pesanti e si transita per la consulenza con maggiore facilità».
La crescita non è più lineare: talvolta i cambi di carica sono alla pari o addirittura su posizioni meno rilevanti
Due sono le cose importanti per avere successo in questo caos. «Da un lato un network forte e molto articolato», continua Iacci, «e d’altro lato competenze più composite e una capacità di adattamento professionale più marcata rispetto a una volta».Lo confermano le indagini sul campo: i classici must per fare carriera da soli non bastano più. «Emerge l’obbligo di una maggiore intraprendenza e accettazione della sfida e del rischio», conferma Guido Carella, presidente di Manageritalia, «e se al primo posto ci sono ancora la formazione scolastica e post, così dice un manager su due, la conferma della necessità di cambiare volontariamente prima che il lavoro ci costringa a farlo è data dal fatto che per cercare nuove sfide e possibilità di crescita metà degli intervistati ha lasciato la propria società».
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PREPARAZIONE FAI-DA-TEUna volta era l’azienda che pensava alla formazione del management, poi è arrivata la crisi e il budget è crollato: -40% dal 2008 a oggi secondo Aidp. «L’anno scorso c’è stata una prima, lieve inversione di tendenza (+6%)», nota Iacci, «ma sarebbe un errore aspettare che al nostro futuro ci pensi sempre mamma-azienda: oggi sono i singoli che devono avere la lungimiranza di investire su se stessi».«Da una nostra recente indagine», gli fa eco Carella, «quasi il 50% dei lavoratori mette in conto di investire personalmente nella propria crescita professionale, anche se raramente si tratta di grandi cifre, e c’è chi approfitta di un momentaneo stop per tornare sui banchi di scuola». Anche perché oggi è più facile ed economico. Grazie al digitale.«Le attività formative», è ancora Paolo Iacci che interviene, «sono più brevi e puntuali, più vicine al business e meno teoriche, ma la grande innovazione è il digitale che sta irrompendo anche in questo settore: reti di persone unite dallo stesso progetto che chiedono assistenza nello sviluppo della loro attività con un versante operativo e uno formativo, comunità di pratiche che si auto-aggiornano, dove ogni soggetto mette in comune le proprie competenze specialistiche per la crescita dell’intero gruppo, team internazionali che si approvvigionano di competenze sul Web, là dove queste sono disponibili. Queste sono le nuove tendenze della formazione, che vedranno una vera e propria esplosione tecnologica nei prossimi anni».
MORE WITH LESSFare di più con meno: vale anche per la formazione. «Ogni ragionamento e ogni attività devono andare in questa direzione», dice Chiara Scortegagna, direttore generale di AdHocManagement. C’è di che essere felici, visti i tempi. Ma quali sono le skill su cui puntare per riposizionarsi, crescere internamente o vendersi ad altre aziende? «Essere dei flexworkers», continua, «ovvero: saper fare della flessibilità non un atteggiamento di rassegnazione e accettazione passiva, ma un comportamento di rinnovamento aperto alle novità e capace di disegnare scenari futuri con i soli strumenti, pochi o tanti che siano, che si hanno a disposizione.Secondo: essere certi nell’incertezza. Troppe informazioni alla portata di tutti, troppe occasioni di scelta, troppi social su cui condividere qualunque argomento, rischiano di condurre alla paralisi. Essere certi nell’incertezza significa saper distinguere con grande rapidità ciò che è buono per noi da ciò che non lo è. In sintesi: vivere la professione con coerenza di stile, avendo cura non solo di adattare velocemente il proprio atteggiamento al mutare delle situazioni ma anche di anticipare gli improvvisi cambiamenti».
È indispensabile saper distinguere con grande rapidità ciò che è buono per noi da ciò che non lo è
TRE MESI PER DIMOSTRARE CHI SEI È questo il tempo sufficiente per valutare le performance di un top manager, e spesso basta anche meno. Sbagliare non è una opzione. «È allora fondamentale tenere a bada lo stress», consiglia Francesco Tamagni, General Manager di Intermedia Selection, società di ricerca e selezione di professional e middle management, «perché quando hai poco tempo per far capire chi sei il rischio è di farsi prendere dal panico».Strategie? «Bisogna fare team, assumere l’atteggiamento del leader che però sa sporcarsi le mani, tira la volata alla squadra, si rimbocca le maniche e, se è il caso, sa anche mettersi in discussione».
COME IN BORSAIl valore del manager sale e scende, come in Borsa bisogna investire e sapere come. La spendibilità di un manager sul mercato è una variabile, dipende dalle condizioni esterne. «In inglese si chiama employability e va sempre tenuta sott’occhio, come il valore delle azioni», ci spiega con un esempio Carlo Caporale, Senior Director Italy di Wyser, la società internazionale di Gi Group che si occupa di ricerca e selezione di middle e senior management specializzato. «E così anche la nostra occupabilità può valere molto o poco, ed è una variabile che oscilla. L’errore più grave è non fare mai il check-up della nostra employability. Segue a ruota quello di restare indietro rispetto agli altri. La formazione continua è un must, non solo a beneficio della nostra carriera, ma anche per dare maggiore valore all’azienda nella quale lavoriamo: bisogna dare il massimo a chi ci paga per farlo».
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