Giovani imprenditori cercansi

Gli imprenditori under 30 sono solo 6,9% in Italia, è quanto emerge dall’analisi di Unioncamere sull’andamento dei titolari d’imprese individuali nel quinquennio 2005-2010

Investono, rischiano e fanno impresa. Peccato, però, che oggi lo facciano con minor frequenza rispetto al 2005. Man mano che passa il tempo, i giovani italiani che non hanno ancora compiuto i 30 anni, sembrano avere meno chance, e forse meno voglia, di salire sulla plancia di comando delle aziende. A dirlo sono i dati di Unioncamere (l’Unione italiana delle camere di commercio, dell’industria e dell’artigianato) che, a intervalli regolari, scattano una fotografia del sistema imprenditoriale di tutta la Penisola. Alla fine del 2010, secondo le statistiche ufficiali, le società di persone guidate nel nostro paese da un proprietario under 30 erano in totale poco più di 232 mila, in calo di quasi il 16% rispetto al quinquennio precedente. Pure tra gli amministratori delle società di capitali, le risorse più giovani stanno diventando una merce rara: nell’arco di un lustro, infatti, il numero di persone sotto la trentina che occupano posti di responsabilità nelle aziende è sceso di una percentuale compresa tra il 18 e il 24%. L’immagine di un paese invecchiato, che l’Italia si trova spesso cucita addosso, sembra dunque avere qualche valida ragion d’essere anche nel mondo produttivo. Tanto che Ferruccio Dardanello, presidente di Uniocamere, già nell’estate scorsa non ha esitato a lanciare un campanello d’allarme: «L’invecchiamento della società si specchia nella struttura portante della nostra economia», ha detto Dardanello, non nascondendo un certo grado di preoccupazione per questo fenomeno.

MENO GIOVANI CHE OVER 70Oggi, a detta del n.1 di Unioncamere, c’è il rischio che nel sistema imprenditoriale vengano a mancare molte energie nuove, «cioè quelle che scaturiscono dalle menti fresche e potenzialmente più ricche di immaginazione». Basti pensare che la quota di aziende possedute da chi ha meno di 30 anni (pari nel complesso al 6,9%) in Italia è ormai inferiore a quella delle società controllate dagli ultrasettantenni (che rappresentano ben l’8,8% del totale, corrispondente a oltre oltre 296 mila imprese). Eppure, se il nostro Paese puntasse con maggiore convinzione sugli imprenditori “in erba”, potrebbe colmare più velocemente il gap di crescita economica che oggi lo separa dal resto d’Europa. Secondo uno studio pubblicato nel settembre scorso da Confcommercio, per esempio, un aumento del 10% nella quota di giovani imprenditori garantirebbe una crescita del Pil per ogni occupato attorno allo 0,2%. Per adesso, tuttavia, questi obiettivi rimangono ancora ben difficili da raggiungere. A tarpare le ali alla generazione under 30, infatti, secondo gli analisti ci sono diversi, fattori, a cominciare dalla struttura del nostro sistema scolastico e universitario, che spesso ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro. Non a caso, sempre secondo i dati di Unioncamere, il numero maggiore di capi d’azienda italiani si riscontra nelle classi di età intermedie. Tra i 30 e i 50 anni, per esempio, i proprietari di società di persone sono quasi 1,7 milioni (corrispondenti a oltre il 49% del totale) mentre tra gli ultracinquantenni il numero di piccoli imprenditori si attesta attorno a 1,1 milioni (con una quota complessiva superiore al 34%). Per entrambe queste categorie anagrafiche, tra il 2005 e il 2010 il numero di titolari di aziende è rimasto pressoché invariato, con un flessione di appena il 2-3%.

NEO-IMPRENDITORI DI MEZZA ETÀI nostri connazionali, insomma, non hanno perso affatto la vocazione a mettersi in proprio. Più semplicemente, iniziano a fare business un po’ in ritardo, in linea con il progressivo innalzamento dell’età media all’anagrafe. Prendendo in esame la generazione con meno di 40 anni, infatti, il nostro paese mantiene ancora uno dei più alti tassi di imprenditorialità nel mondo. Secondo un recente studio della Confartigianato, per esempio, i titolari di azienda under 40 in tutta la Penisola sono ben 1,9 milioni, pari al 19,8% del totale, cioè il doppio della media europea. Se si considera giovane anche chi ha superato la trentina, dunque, il quadro tracciato dalle statistiche non è poi così negativo e lascia qualche speranza di riscatto al nostro paese. La stessa analisi vale anche se si prende il segmento delle imprese di nuova costituzione, dove le generazioni meno anziane continuano a fare la parte del leone. Quasi un quarto dei neo-imprenditori (dati dell’Ufficio Studi di Unioncamere), è rappresentato infatti da persone con meno di 30 anni mentre un’ulteriore 41% ha un’età compresa tra i 30 e i 40. La quota degli ultraquarantenni, invece, si riduce a un ben più modesto 35% circa.

DOVE INVESTONO GLI UNDER 30Non è facile tracciare un quadro completo dei settori in cui i giovani italiani iniziano con maggior frequenza un’attività imprenditoriale, poiché la classificazione dei comparti produttivi presso le Camere di Commercio ha subito, nel corso degli anni, numerosi cambiamenti. Secondo alcune rilevazioni aggiornate a metà dello scorso anno, l’8,5% delle imprese guidate dagli under 30 opera nel settore dei servizi (e in particolare nel segmento degli alber-ghi e della ristorazione), un altro 4% circa nell’industria delle costruzioni e un ulteriore 4% nel campo della sanità. Segue a ruota il settore dell’istruzione, dove è attivo oltre il 3% di tutti gli imprenditori italiani con meno di 30 anni.

RITORNO ALLA “TERRA”Ci sono poi alcuni segnali importanti che arrivano da comparti produttivi fino a qualche anno fa molto snob-bati dai giovani. È il caso dell’agricoltura, dove il numero di imprenditori “in erba” ha raggiunto cifre ragguardevoli, grazie all’emergere di coltivazioni sofisticate, per le quali è richiesto spesso l’intervento di professionisti con un solido background universitario (in discipline scientifiche, alimentari e agrotecniche). Secondo una recente rilevazione della Coldiretti, su 210 mila aziende agricole che in Italia assumono manodopera, circa 30 mila sono guidate da coltivatori con meno di 40 anni d’età. I giovani titolari d’azienda, insomma, non sembrano disdegnare affatto il lavoro manuale, compreso quello nei campi. Non a caso, una fetta consistente delle nuove iniziative imprenditoriali degli under 30 sono ideate da persone che hanno alle spalle una esperienza significativa nel settore manifatturiero. Tra i giovani neo imprenditori, per esempio, la quota degli ex-operai raggiunge il 28% e supera abbondantemente quella degli impiegati (14,5%) o degli ex-studenti (18%) che hanno appena conseguito il diploma o la laurea. Esiste però anche una fetta consistente di giovani che aprono un’attività in proprio solo perché si trovano (all’improvviso) senza un lavoro. Il 17% dei nuovi imprenditori under 30 iscritti alle Camere di Commercio, infatti, è rappresentato da ex-disoccupati. La necessità di avere un impiego, però, non è il principale motivo che spinge gli italiani ad aprire una società. Secondo Unioncamere, i nostri connazionali rimangono ancora “imprenditori per vocazione”: in oltre il 50% dei casi, infatti, la decisione di far nascere una nuova azienda avviene perché il titolare desidera essere indipendente o ricercare il successo personale, oppure perché ha una buona dose di fiducia in se stesso e crede di conoscere bene il mercato in cui opera.

Foto: © GettyImages (3)

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