Imprese familiari: 7 su 10 investiranno in formazione

Resta, però, il divario con le società non familiari. Le piccole realtà sono le imprese più in difficoltà a sviluppare nel personale un nuovo bagaglio di competenze

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Quasi sette imprese familiari su 10 (il 69%) stanno investendo in formazione e lo hanno già fatto nel triennio pre-Covid, per fare crescere le competenze del personale impiegato e affrontare al meglio le sfide dei cambiamenti in atto. Tra i giovani imprenditori la propensione a investire in capitale umano è più elevata (73%), mentre a fare più fatica sono soprattutto le donne capitane di impresa (66%) e le piccole realtà imprenditoriali (65%) che più di altre avrebbero, invece, bisogno di sviluppare il bagaglio di conoscenze del proprio personale per accompagnare i processi di sviluppo.

Nel complesso, però, la quota delle imprese investitrici che hanno investito nel 2017-2019 e continuerà a farlo nel 2022-2024, resta più bassa rispetto a quella delle non familiari (il 69% contro il 77%).

A tracciare il quadro sulla formazione nelle imprese familiari è il nuovo rapporto realizzato da Asfor, Centro Studi Guglielmo Tagliacarne e Cuoa Business School, presentato oggi a Roma in occasione dell’evento Il capitale umano e strategie nelle imprese familiari.

Formazione nelle imprese familiari: conta il titolo di studio dell’imprenditore

In base allo studio – condotto su 4 mila imprese (3 mila del manifatturiero, mille dei servizi) tra i 5 e i 499 addetti e integrato da un’analisi di 10 case history di imprese leader – l’attività di formazione più gettonata tra le imprese familiari è l’up-skilling, ovvero la formazione del personale dipendente per far crescere le attuali competenze tecnico-professionali. A farlo è il 66% delle imprese familiari contro il 75% delle imprese non familiari.

Il 52% (contro il 66% delle imprese non familiari) punterà sul re-skilling, cioè sullo sviluppo di nuove competenze tecnico-professionali. Meno appeal ha invece l’attività formativa che sta alla base dei veri e propri cambiamenti. Solo il 35% (vs 53% delle non familiari) sta programmando corsi per aumentare l’intrapreneurship, ossia la responsabilizzazione, la capacità di iniziativa e di innovazione delle proprie risorse umane. Solo una su quattro, infine, punta a migliorare la capacità manageriale di gestire nuovi modelli di business idonei a cavalcare per esempio la duplice transizione (25% vs 43%).

In ogni caso anche il titolo di studio dell’imprenditore sembra fare la differenza: la quota di imprese famigliari che investono in formazione è pari al 55% se l’imprenditore ha al massimo la licenzia media e sale al 68% se ha il diploma fino ad arrivare a toccare il 78% se è laureato.

L’autofinanziamento è il principale canale al quale ricorrerà l’80% di queste imprese per finanziare i percorsi formativi programmati, mentre solo il 29% usufruirà dei fondi regionali e il 23% dei fondi interprofessionali.

La spinta dal Sud e dagli imprenditori under 35

Le imprese familiari del Mezzogiorno e gli imprenditori under 35 sembrano avere maggiore consapevolezza che per cambiare passo non è sufficiente puntare sulla manutenzione del bagaglio delle competenze già acquisite. Anche per questo investono di più nell’intrapreneurship, rispetto a quelle del Centro-Nord (il 39% delle imprese del Mezzogiorno contro il 34% di quelle del Centro-Nord) e nella formazione manageriale per nuovi modelli di business (30% contro il 24%).

Il 73% delle imprese familiari giovanili ha investito in attività formative nel periodo 2017-19 e continuerà a farlo anche nel triennio 2022-24 in almeno una delle tipologie di formazione (contro il 68% delle imprese familiari non giovanili). Ma nelle imprese familiari guidate da donne solo 66% ha investito nel periodo 2017-19 e proseguirà anche nel triennio 2022-24 (vs il 70% delle imprese familiari non femminili).

Tuttavia, sia le aziende familiari under 35 sia quelle femminili mostrano una maggiore propensione a investire nella formazione orientata a produrre cambiamento rispetto alle altre. Il 30% delle imprese giovanili che ha investito nel 2017-19 continuerà a investire nel 2022-24 in corsi manageriali per nuovi modelli di business (contro 24% nel caso delle imprese non giovanili), una quota che scende al 28% nelle imprese familiari femminili ma che resta più levata di 3 punti percentuali rispetto a quelle dei loro colleghi maschi (25%).

Le piccole imprese arrancano rispetto alle grandi

Le politiche di formazione del personale fanno fatica ad affermarsi tra le aziende familiari più piccole (con meno di 50 addetti). Solo 65% di queste investirà nel triennio 2022-24 e lo ha fatto nel periodo 2017-19, contro l’86% di quelle medio-grandi) Un fenomeno che risulta più marcato per la formazione in re-skilling – dove le imprese che investiranno sono il 47% tra le piccole e il 71% nel caso delle medio-grandi – e in orientamento intra-imprenditoriale (30% contro il 54%).

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