Intelligenza artificiale, lavoratori italiani ancora indietro ma pronti a formarsi

Il desiderio di imparare non manca e la maggior parte dei lavoratori ritiene che l’AI non renderà sostituibile il proprio lavoro

Studio BCG: uso e impatto dell'intelligenza artificiale nel mondo del lavoro in Italia© Shutterstock

L’intelligenza artificiale spaventa, l’intelligenza artificiale accattiva: al netto di tutte le perplessità relative al suo impiego in vari settori professionali, anche in Italia sempre più lavoratori si dicono pronti a provarla, a sperimentare e, chiaramente, ad addestrarla in modo tale che possa rendere il lavoro più veloce.

Questo è ciò che emerge dallo studio Decoding Global Talent 2024: How Work Preferences Are Shifting in the Age of GenAI realizzato da Boston Consulting Group (BCG) insieme a The Network e The Stepstone Group per mezzo di un sondaggio che ha coinvolto 150.000 persone in 188 Paesi, d’età compresa fra i 20 e i 40 anni (quindi in una fase iniziale o intermedia della propria carriera).

L’86% dei rispondenti a livello globale ha dichiarato di aver sentito parlare dell’intelligenza artificiale generativa e più del 50% ha affermato di averla sperimentata almeno una volta di recente, compreso un 39% di utilizzatori regolari. In Italia la situazione è un po’ diversa: infatti, il 40% dei lavoratori italiani non l’ha ancora utilizzata in campo professionale, rimanendo indietro perché probabilmente perché non ha avuto gli incoraggiamenti necessari.

Ciò però non implica un assoluto diniego né un essere del tutto restii a cimentarsi, anzi. Come nel resto del mondo, moltissimi italiani hanno sperimentato la GenAi per interessi personali e la usa per attività relativamente semplici: acquisire conoscenze generali, sviluppare competenze, tradurre materiale in altre lingue o addirittura per sviluppare curriculum e lettere di presentazione.

L’utilizzo regolare in Italia si ferma però al 21%, ponendo il Paese fra gli ultimi dieci posti nella classifica globale dei tassi di adozione. Di contro, però, nel nostro Paese il 63% dei lavoratori si è detto consapevole che alcuni aspetti dei lavoro cambieranno, richiedendo lo sviluppo di nuove competenze e si è dichiarato pronto a formarsi.

Il 26% pensa che l’AI non avrà alcun effetto negativo sulla propria posizione, specie se si procede a a fare reskilling, quindi apprendere nuove competenze, per rimanere competitivo. Tornando alla panoramica globale, secondo l’indagine di BCG A giocare un ruolo cruciale è comunque l’età: i rispondenti di 30 anni o meno hanno i tassi di adozione più elevati, anche se c’è da sottolineare che si cimentano anche le persone con ruoli digitali e IT, seguite da quelle con ruoli nel marketing, nei media e nel design. La situazione è simile per quanto riguarda i settori industriali: tecnologia e IT sono in testa, seguiti dai media e poi da scienza e ricerca.

Alla luce di tutto questo, sia in Italia che nel mondo, i datori di lavoro dovrebbero prevedere l’impatto della tecnologia sulla forza lavoro, quantificando come le nuove tecnologie influenzeranno il bisogno di lavoratori e competenze e mettendo in atto una serie di pratiche e interventi per ottimizzare l’ambiente professionale.

© Riproduzione riservata