L’aumento di stipendio primo motivo per cambiare lavoro

Il 42% dei lavoratori ha fiducia di trovare un lavoro uguale all'attuale nei prossimi sei mesi, il 38% uno diverso. Il 10% è alla ricerca attiva di un nuovo lavoro. I risultati dell’indagine di Randstad Workonitor

È l’aumento di stipendio, prima ancora dell’opportunità di crescita professionale o di un profilo maggiormente in linea con i propri studi, la motivazione che spinge gli italiani a cercare un nuovo lavoro. È questo il dato principale che emerge dal Randstad Workonitor, l’indagine sul mondo del lavoro realizzata in 33 Paesi del mondo da Randstad, secondo player al mondo nei servizi di risorse umane.

I RISULTATI. I dipendenti del nostro Paese mostrano una posizione contraddittoria sull’impiego attualmente ricoperto: per il 62% è il “lavoro ideale”, ma allo stesso tempo per il 61% rappresenta “solo un modo per guadagnarsi da vivere”. In media, i lavoratori sono pronti a mettersi alla ricerca di un nuovo posto, senza eccessiva fiducia in una svolta di carriera (il 58% è convinto che sia già determinata dal primo impiego) e senza troppa urgenza (per il 62% si può sempre cambiare lavoro in qualsiasi altro momento). Facendo affidamento sulle agenzie di recruitment, che oggi sono scelte dal 76% di chi è disoccupato, ben sopra la media mondiale, e considerando il lavoro temporaneo sempre più un trampolino di lancio per un contratto a tempo indeterminato. Ma, nell’attesa di trovare un nuovo impiego, chi un lavoro ce l’ha se lo tiene stretto: oltre otto lavoratori italiani su 10, più di tutti in Europa, sono concentrati nell’ottenere una promozione nel posto attuale.

LAVORO PERFETTO, MA LO CAMBIO. Secondo il Randstad Workmonitor, per un numero significativamente elevato di lavoratori italiani (il 62%) l’attività ricoperta attualmente rappresenta il “lavoro ideale”, una posizione condivisa da uomini e donne e in generale a tutte le età. Contemporaneamente, però, il 61% dichiara che il proprio lavoro “è solo un modo per guadagnarsi da vivere, niente di più“. Una sostanziale parità che ci differenza da altre aree del mondo, dove si delinea una prevalenza tra le due affermazioni.Analizzando il saldo fra idealizzazione e funzionalità del lavoro nei 33 Paesi oggetto di indagine, infatti, il Nord Europa (e nello specifico Norvegia, Austria, Lussemburgo e Danimarca) si distingue per la netta superiorità di chi sostiene di ricoprire già il suo lavoro ideale. Viceversa, in Asia (e in particolare Malesia, India, Singapore e Hong Kong, più l’eccezione dell’Olanda) prevale il pragmatismo di chi guarda al lavoro principalmente come fonte di reddito.

STIPENDIO O CARRIERA. L’81% dei lavoratori italiani cambierebbe lavoro se potesse guadagnare di più (contro una media globale del 75% e una media europea del 70%). Il 73% invece lo farebbe per migliori possibilità di carriera (più della media globale, 69%, e molto più di quella europea, 61). E il 63% se ne trovasse uno più in linea con la propria formazione scolastica (anche in questo caso, più della media mondiale, 59%, ed europea, 51%).Se in Italia emerge una generale disponibilità alla mobilità, questa non significa un’urgenza di cambiare lavoro al più presto: il 62% degli italiani crede sia possibile farlo anche in qualsiasi altro momento (più della media globale, 58%). Ciononostante, in pochi credono sia possibile una vera svolta di carriera: quasi otto dipendenti su 10 in Italia (per esattezza il 79%) ritengono che nei prossimi tre anni svolgeranno un lavoro simile a quello attuale. E la maggioranza (il 58% contro il 44% della media globale) pensa che il primo lavoro ricoperto determini il resto della carriera.

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