In quanti possiamo dire di aver trovato il lavoro dei nostri sogni? E siamo sicuri che sia quello che ci renderà felici? Se fino a qualche tempo fa l’aforisma di Confucio «Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita» veniva ripetuto come un mantra, ora sembra non avere più effetto ispirazionale. Questa è la tesi e il punto di partenza del libro Così bravo che non potranno ignorarti di Cal Newport (Roi Edizioni): un invito aperto ai lettori per smetterla di raccontarsi e diffondere questa storia, e vedere il proprio lavoro e la propria motivazione da una prospettiva nuova e più realistica.
Il problema della “teoria della passione”, secondo Newport, è che persuade le persone che da qualche parte c’è un magico lavoro “giusto” che le aspetta e che, se lo troveranno, riconosceranno immediatamente che quello è il lavoro che sono destinati a fare. Il problema, naturalmente, è che quando non riescono a raggiungere questa certezza (spesso visto che le passioni lavorative sono rare e il più delle volte difficilmente trasformabili in una professione), subentrano fenomeni negativi, come la ricerca cronica di un lavoro e uno stato di insoddisfazione paralizzante.
Meglio diventare davvero bravi in qualcosa, «così bravi da non poter essere ignorati» appunto, e poi investire il capitale professionale che ne deriva per ottenere quegli aspetti che caratterizzano un ottimo un lavoro. Per esempio, godere di una certa autonomia, sentirsi bravi in ciò che si fa, instaurare relazioni con le altre persone e, non meno importante, trovare una missione unificante per la propria vita lavorativa.
In conclusione, secondo Cal Newport riuscire a lavorare bene, in un ambiente sano e stimolante, è meglio che trovare il lavoro ideale. Perché la verità è che qualunque lavoro, alla fine, ha i suoi difetti e non è di certo la passione a rendere ciò che facciamo ogni giorno un buon lavoro, un buon risultato, portandoci al successo, riempiendoci di felicità o regalandoci grandi soddisfazioni. Ma cosa ne pensano i top manager italiani? Lo abbiamo chiesto a sei di loro.
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