Manager in convento

A distanza di oltre un secolo e mezzo, la Regola benedettina si è rivelata feconda di insegnamenti utili per l’imprenditoria contemporanea. Così ora i conventi attirano gruppi sempre più nutriti di businessmen in cerca di risposte

Manager in conventoL'abbazia di Montecassino, fondata da San Benedetto© Shutterstock

Questa storia nasce da un fallimento di milleseicento anni fa, quando un uomo, al termine di un’esistenza spesa cercando di costruire, edificare, seguire un percorso che fino all’ultimo istante di vita gridava verità ed eternità, si ritrova dinanzi alla certezza della devastazione.

L’uomo è San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, il padre del monachesimo occidentale e il fondatore dell’abbazia di Montecassino, che verrà infatti distrutta dai Longobardi pochi decenni dopo la sua morte, avvenuta intorno al 547 d.C.. San Benedetto, come spesso accade nelle vite dei Santi, non aveva la minima idea della portata di ciò che stava creando. La sua celebre Regola, mentre scandiva i ritmi e i tempi del lavoro, dell’adorazione e della vita in comune per i fratelli consacrati nei monasteri che – ispirati dal monaco di Norcia – iniziavano a sorgere in tutta Europa, in realtà poneva le basi di un’economia talmente moderna, che ci sono voluti quasi 16 secoli perché l’umanità se ne accorgesse.

Tanto che ora, nel terzo Millennio, i manager guardano a questo umile frate medievale per capire come affrontare e risolvere il grande interrogativo dell’imprenditoria contemporanea, e cioè competere in un mondo che definire complesso, oggi, è quasi un eufemismo. Ed ecco che, da qualche anno a questa parte, oltre alle aule universitarie o alle conference hall più prestigiose, sono i refettori e le celle dei conventi ad attirare gruppi sempre più nutriti di Ceo, Cfo e altri top manager d’azienda, alla ricerca di risposte e di soluzioni.

Cosa abbia di tanto speciale la Regola di San Benedetto da Norcia ce lo spiega Massimo Folador, docente di Business ethics e sviluppo sostenibile presso la Liuc di Milano, formatore, nonché fondatore di Askesis, società di consulenza che si occupa del miglioramento e del benessere organizzativo delle aziende. Folador è anche autore di numerosi libri sul management sostenibile (e vedremo più avanti in che termini intendere un concetto così largamente usato e abusato), a cominciare da L’organizzazione perfetta. La regola di San Benedetto: una saggezza antica al servizio dell’impresa moderna, del 2006, che getta uno sguardo nuovo su un’esperienza per niente limitata alla religione. Come l’evangelico «padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Matteo, 13), Folador ha costruito su tale “saggezza antica” un percorso ultramoderno per la formazione manageriale basato sulla Regola benedettina, in particolare su alcuni aspetti, come l’ascolto, il silenzio, la centralità della persona e la vita in comune.

Manager in convento

Massimo Folador, fondatore della società di consulenza Askesis, ha ideato un percorso formativo basato sulla Regola benedettina

«Il monachesimo benedettino diede il via – e ancora oggi è presente in numerose aree della vita economica – alla crescita del Paese e dell’Europa in tempi drammatici per l’umanità. Siamo alla fine del VI secolo, nel crollo dell’Impero Romano, all’inizio del Medioevo. Da quando nascono le prime abbazie, invece, prende il via una storia appassionante, se si pensa che i monaci benedettini hanno dato vita a 7 mila monasteri, a ospedali, alla cultura con gli amanuensi, alla produzione della birra e del vino. È sorprendente la grandissima capacità di fare impresa, che è rimasta prerogativa per secoli, di monasteri, di abbazie, di luoghi cioè dedicati alla preghiera e al lavoro. Come hanno fatto tutto questo dei monaci?». Il segreto di tanta efficienza e produttività sta senz’altro in un’organizzazione disciplinata e ordinata in 73 corposi capitoli (che trattano anche della vita spirituale), con un’accurata scansione dei compiti e della gerarchia (oggi lo chiameremmo management delle competenze). Ma quello che, secondo Folador, ha fatto davvero la differenza è lo sguardo sulle persone: «Siamo in un’epoca in cui produrre valore non è semplice», continua, «la complessità attuale è data dall’incremento delle variabili, sotto forma di globalizzazione, di tecnologia, di iperesposizione alle informazioni, ma è sempre e comunque anche data dalla quantità e dalla qualità delle relazioni ». Ed è qui che l’umile frate umbro ha fatto la differenza, perché al centro della sua esperienza non c’è una “norma”, ma la persona, con le sue fragilità. Proprio quella che l’impresa moderna dovrebbe riscoprire e valorizzare per essere davvero sostenibile e competitiva.

Solitamente, i manager arrivano all’interno del convento il pomeriggio precedente l’inizio delle attività formative vere e proprie, per godere del posto, conoscere i conventuali e iniziare a cambiare il ritmo dei pensieri

«La relazione», spiega Folador, «è una componente necessaria dell’impresa, è vero che ci sono di mezzo i ruoli e che le modalità organizzative possono divergere, ma a ben guardare il lavoro non è altro che il confronto e l’interazione tra persone, siano essi colleghi, superiori, clienti o fornitori. E ancora più importante per un’azienda è la centratura delle sue persone, non solo la loro centralità. Una persona non centrata su sé stessa, e quindi anche sulle sue fragilità, difficilmente sarà in grado di stare in relazione con persone che con lei producono valore. La Regola benedettina investe tanto sulla centratura delle persone e sulla vita in comunità, perché è la dinamica della comunità che fa fare veri i salti di qualità, nell’esperienza conventuale come in azienda».

Rispetto ai grandi filoni interpretativi del management contemporaneo, l’esperienza formativa all’interno dei conventi benedettini, basati sulla Regola, sembrerebbe fungere da filo conduttore, un tratteggio che unisce i puntini tra i vari stili di leadership (umile, assertiva, visionaria, partecipativa e così via) per arrivare a un’immagine che ricorda sempre più l’Umanista rinascimentale. Una mente aperta, cioè esplorativa, proiettata verso i propri simili e allo stesso tempo verso un traguardo comune. Racconta Folador che all’indomani dell’uscita di L’organizzazione perfetta, iniziarono ad arrivare tantissime richieste di approfondimento. Il tema era di grande interesse. «Insieme a due monaci e uno psicoterapeuta iniziammo a ragionare su quale fosse il portato di questa storia rispetto alla quotidianità al lavoro, e individuammo circa dieci macro-temi facilmente rintracciabili nella Regola come chiavi di lettura della loro performance».

Manager in convento

Una veduta dell’abbazia di Montecassino, fondata da San Benedetto

Tali macro-temi sono diventati altrettanti percorsi formativi, da svolgere rigorosamente nel ritiro dal mondo, nella protezione silenziosa di mura, chiostri, giardini. Luoghi di bellezza, in cui riposare lo sguardo e lo spirito, per predisporre l’animo all’ascolto. I corsisti arrivano di norma il pomeriggio precedente l’inizio delle attività formative vere e proprie, per godere del posto, conoscere i conventuali e iniziare a cambiare il ritmo dei pensieri. «Alcuni monaci sono persone davvero fuori dal comune, interessantissime», spiega Folador, «e le attività che sviluppiamo sono proposte in ottica molto dialogica, socratica e con tanti giochi, esercizi, momenti di pausa, con pranzo e cena in silenzio. Il primo percorso che viene affrontato è – non a caso – Dal silenzio all’ascolto. Ascoltare viene dal latino auscultare, cioè comprendere, e quindi imparare a curare. Queste sono le riflessioni che cerchiamo di stimolare, e ogni percorso termina con un invito all’azione, individuale e di team. Dall’ascolto si passa al dialogo, sempre usando la Regola come matrice, la struttura è quella. Le riflessioni sono appunto guidate dalle frasi della Regola, e poi si entra nel vivo del dialogo con le persone. Un leader che sa ascoltare veramente è già in grado di cambiare le sorti di un’azienda».

Successivamente è la volta di temi come la Condivisione, poi il Miglioramento continuo, e in successione, Guidare sé stessi, Guidare gli altri, Darsi una regola, Gestire il tempo e così via. I tempi e i percorsi possono variare di molto: «ci sono state aziende con cui abbiamo fatto percorsi da sei, sette, otto incontri e realtà con cui li abbiamo fatti da tre», precisa Folador. «Con Eni e Poste Italiane siamo stati molto coinvolti, per quest’ultima abbiamo portato 400 dirigenti nei monasteri, tra cui Montecassino. Ma ci sono imprenditori, come Brunello Cucinelli, che hanno l’ex priore di Norcia (padre Cassian Folsom) insediato nel Cda aziendale, o realtà come Loccioni, nelle Marche, che ha avviato un progetto di formazione permanente in un’abbazia (di Sant’Urbano ad Apiro, MC, ndr). Alla fine, l’insegnamento dei monaci benedettini è che l’impresa di successo è radicata nel suo territorio, e si fonda sulle persone. E cos’è questo se non il moderno concetto di sostenibilità? L’impresa è sostenibile se le sue relazioni, interne ed esterne, sono sostenibili». San Benedetto l’aveva già capito, 1.600 anni fa.


L’intuizione di San Benedetto

Attraverso i 73 capitoli della sua Regola, rivestì la vita monastica di una visione che va al di là della semplice “norma”

Ausculta filii praecepta maestri. Inizia così quella che per l’Occidente cristiano è la Regola di San Benedetto, un insieme di 73 capitoli, oltre il Prologo, composta dal frate di Norcia intorno al 530, dopo una vita spesa lontano dalla corruzione e dai fasti della Chiesa di Roma. La ricerca di una dimensione più spirituale della fede aveva portato Benedetto all’esperienza da eremita e da cenobita nei conventi della sua terra, l’Umbria. Il monachesimo di allora però si basava sulla volontaria e comune astensione dalla mondanità, non c’era un progetto condiviso, e questo portava i monaci a muoversi spesso da un convento a un altro.

Benedetto, con un’intuizione straordinaria, ha rivestito la vita monastica di una visione, di un significato, che va ben al di là della semplice “norma”. I 73 capitoli della Regola (anche se lui li chiama «consigli di un affettuoso padre») altro non sono che manifestazioni visibili di quello che dovrebbe essere l’atteggiamento spirituale del monaco: l’umiltà, innanzitutto, l’obbedienza ai superiori e ai monaci, la fede, e l’operosità. Invita a «porgere l‘orecchio del cuore» per leggere quell’affetto paterno nelle prescrizioni, che contemplano i rapporti tra confratelli, la necessità della preghiera e del lavoro manuale, le regole di condotta nella vita comunitaria, le responsabilità dell’Abate, ma anche il dovere dell’ospitalità, dell’accoglienza del forestiero, della produttività e dell’adesione al luogo, oltre che all’idea. Con lo zelo operoso del “buon padre di famiglia”, Benedetto ha posto le basi di uno sviluppo spirituale ed economico ancora oggi inarrestabile.


Articolo pubblicato sul numero di Business People di ottobre 2024. Scarica il numero o abbonati qui

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