Licenziamenti: un italiano su tre teme di restare senza lavoro

I timori maggiori sono degli uomini, soprattutto nella fascia 35-44 anni. I dati del sondaggio People at Work 2023 dell'Adp Research Institute

licenziamentiDrazen Zigic / Freepik

Un lavoratore italiano su tre (34%) non si sente sicuro del proprio posto di lavoro, e teme che una nuova crisi economica e il rallentamento dell’economia possano portare la propria azienda a licenziamenti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i timori sono maggiori negli uomini (38%) e inferiori nelle donne (30%). È quanto emerge dal sondaggio People at Work 2023 dell’Adp Research Institute, condotto su oltre 32 mila lavoratori in 17 Paesi (2 mila lavoratori in Italia).

Dove e in che fascia d’età si temono di più i licenziamenti

I sentimenti di precarietà sono più alti nella fascia 35-44 anni (37%), segue la Generazione Z, ovvero quella che va dai 18 ai 24 anni con il 36%, dai 24 ai 34 è timoroso il 34%, mentre dai 45 ai 54 anni il 33%; solo il 26% degli over 55 è invece preoccupato per il proprio posto di lavoro.

Per quanto riguarda invece i settori, i più insicuri sono gli operatori del real estate (42%) e conseguentemente dell’edilizia (40%). Insicurezza diffusa anche nel settore IT e telecomunicazioni (41%).

“I tempi sono difficili, è normale che i lavoratori si sentano preoccupati per il proprio lavoro, temendo la perdita del proprio posto per motivi economici ma anche con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, che presumibilmente potrebbe sostituire alcune mansioni”, afferma Marcela Uribe, General Manager Adp Southern Europe. “Le aziende dovrebbero fare di più per rassicurare i propri dipendenti, mostrando loro che gli sforzi sono riconosciuti e che le prospettive di carriera sono effettive. Non è necessariamente vero che i tagli di posti di lavoro in un’azienda significhino che altri seguiranno l’esempio o che l’automazione, l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico siano cose di cui aver paura. Potrebbero infatti rendere il lavoro delle persone più facile o più soddisfacente in futuro. Vale la pena che i datori di lavoro parlino con i lavoratori ora, per affrontare le idee sbagliate e fugare preoccupazioni inutili”.

I numeri sui licenziamenti in Italia

Secondo dati Inps, nel 2022 i licenziamenti di natura economica sono aumentati del 41% sull’anno. Occorre però ricordare che i licenziamenti economici erano bloccati dalle normative introdotte nel 2020 a fronte della pandemia e che sono stati riaperti a partire da giugno e ottobre 2021. Se confrontato invece al dato 2019, nel 2022 ci sono stati circa 127 mila licenziamenti in meno (-25%).

Complessivamente, sei lavoratori su dieci (60%) pensano che nessuna professione sarà immune dall’attuale incertezza economica, e il 13% crede che l’uso dell’intelligenza artificiale diventerà la norma nel proprio settore nei prossimi cinque anni, riducendo così le attività manuali.

In questo contesto, il 24% ha preso in considerazione la possibilità di cambiare settore negli ultimi 12 mesi e il 15% ha pensato di avviare un’attività in proprio; un over 55 su 5 (20%) ha pensato di andare in pensione anticipata.

“Facendo sentire il personale più a suo agio e al sicuro, sottolineando quali prospettive di formazione e avanzamento di carriera potrebbero essere offerte, i dipendenti si sentiranno maggiormente in grado di concentrarsi su fare un buon lavoro senza preoccuparsi del futuro”, conclude Uribe. “E se i datori di lavoro possono fare tutto questo assicurandosi di offrire una retribuzione equa e una cultura del posto di lavoro inclusiva e coinvolgente, è probabile che i lavoratori si sentano molto più positivi nei confronti dell’azienda per cui lavorano. Ma se le aziende non saranno capaci di mettere a proprio agio i lavoratori, correranno il rischio che le competenze vitali, l’esperienza e l’entusiasmo possano andare perduti, e ciò potrebbe rendere difficile fornire il livello di servizio che i clienti si aspettano”.


Immagine in apertura di Drazen Zigic da Freepik

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