Se mi tagliano lo stipendio, me ne vado. Sull’affermazione, a una prima lettura più che condivisibile, si stanno già scatenando le polemiche. Perché? Perché a pronunciare, non proprio testualmente, la frase è stato Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato. Al manager, a Bologna per un convegno, è stato chiesto un parere circa il provvedimento, al vaglio del governo Renzi, che potrebbe porre un tetto – pari allo stipendio del presidente della Repubblica – alle retribuzioni dei dirigenti pubblici. «Lo Stato può fare quello che desidera: sconterà che una buona parte di manager vada via, lo deve mettere in conto» ha dichiarato Moretti, che poi a chi gli chiedeva se in caso di un taglio della sua retribuzione potesse considerare l’ipotesi di andarsene, Moretti si è limitato a replicare: «ma non c’è dubbio».
Quindi, il numero uno di Fs ha argomentato: «Io prendo 850 mila euro l’anno, il mio omologo tedesco ne prender tre volte e mezzo tanti: siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna anche avere la possibilità di retribuire, non dico alla tedesca e nemmeno all’italiana, ma un minimo per poter fare sì che i manager bravi vengano dove ci sono imprese complicate e dove c’è del rischio ogni giorno da dover prendere».
Non completamente contrario al provvedimento, Moretti ha poi aggiunto «ci sono forse dei casi da dover rivedere, ma la logica secondo cui uno che gestisce un’impresa che fattura oltre 10 miliardi di dollari l’anno, come la nostra, debba stare al di sotto del presidente della Repubblica è una cosa sbagliata. Sia negli Stati Uniti che in Germania, sia in Francia che in Italia il presidente della Repubblica prende molto meno dei manager delle imprese». Secondo Moretti, infatti, «una cosa è stare sul mercato, altro è fare una scelta politica. Chi va a fare il ministro sa che deve rinunciare agli stipendi perché va a fare un’operazione politica, e questa è una sua scelta personale».
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