Anche nel 2014 i dati Istat che fotografano l’occupazione in Italia non sono buoni. Certo la crisi non aiuta, ma c’è una voce, quella relativa al lavoro femminile, che nel nostro Paese è indietro da sempre e a dispetto di qualunque congiuntura. Eppure i risultati delle ragazze sono migliori (con curricula scolastici e performance lavorative superiori del 7% in termini di produttività rispetto agli uomini, fonte: Scienzainrete) e l’operosità del gentil sesso non può essere messa in discussione in una società matriarcale come la nostra. Dove sono quindi le falle di questo sistema? Per provare a individuarle la Luiss Business School Guido Carli ha organizzato, in collaborazione con Business People, un incontro dal titolo Donne nel mondo del lavoro, moderato da Vito Sinopoli, direttore responsabile della nostra testata. A tre importanti manager italiane il compito di analizzare problematiche e pregiudizi che nel 2014 fanno dell’Italia (assieme alla Grecia) il fanalino di coda della Ue, con un tasso di occupazione femminile del 46%, quasi il 12% in meno della media dei Paesi membri. Con l’obiettivo di comunicare a una platea di laureandi le best practice in materia di diversity e maternità messe in campo delle aziende che operano nella Penisola.
Negli ultimi cinque anni il tassodi mamme lavoratrici in Italiaè sceso del 14%
«Negli ultimi cinque anni il tasso delle mamme lavoratrici in Italia è sceso del 14%», esordisce Donatella Colantoni, direttore risorse umane Fox International Channels Italy, «e la maggioranza delle donne che lavora denuncia una certa difficoltà a conciliare lavoro e vita privata, imputabile soprattutto alla quantità di ore di lavoro e alla mancanza di servizi come nidi privati». Spesso basterebbero semplici misure per invertire il trend negativo ed evitare che le donne si vedano bypassare da colleghi uomini solo per aver deciso di mettere al mondo un figlio. In Fox, ad esempio, Colantoni spiega come da anni si lavori per dare a tutti i dipendenti, non importa se uomini o donne, la possibilità di ottenere il work-life balance, ovvero il giusto equilibrio tra vita lavorativa e privata. Fox però ha già al suo attivo una politica virtuosa nell’occupazione femminile. «Abbiamo 3 mila dipendenti nel mondo, di cui 200 in Italia», spiega Colantoni «e il 50% sono donne con un 61% fra quadri e un 40% tra dirigenti. Le ragazze non dovrebbero guardare solo alla percentuale di occupazione femminile di un’azienda, ma anche al tasso dirigenziale, indicatore reale di quali siano le vere opportunità per le donne in una compagnia». Ogni anno in Fox cresce la percentuale di chi diventa mamma, il 37% nel 2014, e in tempi di tagli anche il dipartimento delle risorse umane deve affidarsi alla creatività e alla collaborazione più che ai budget. «Abbiamo un dialogo continuo con le impiegate mamme, cui chiediamo quali possano essere le misure più utili. Ogni anno facciamo il punto sul livello della loro soddisfazione, stando attenti a non sbilanciare troppo l’equilibrio familiare, favorendo le mamme a discapito dei papà. Se rendiamo la vita impossibile agli uomini, complichiamo nuovamente la gestione del ménage, mentre il nostro obiettivo è ottenere il work-life balance grazie al quale scatta l’engagement, ossia l’attaccamento all’azienda che rende il lavoratore più motivato ed efficiente». Diversi gli strumenti messi in campo per perseguire il target: telelavoro durante la gestazione; part time fino al secondo anno di vita del piccolo (oggi ne beneficia solo il 10%), possibilità di modulare l’orario di lavoro uscendo prima se si salta la pausa pranzo. La salute è tenuta in grande considerazione tanto che la compagnia copre l’assicurazione medica per la famiglia, mette a disposizione una palestra, organizza seminari di prevenzione contro patologie diffuse come il diabete (che insorge spesso anche in gravidanza). Non mancano servizi atti a snellire la logistica più o meno quotidiana, quali convenzioni con asili nido, lavanderia e commercialista aziendali, prenotazione del pranzo anche a base di prodotti biologici. Ma sostegno aziendale a parte, Colantoni perora la causa delle lavoratrici mamme perché, dice, «le donne che tornano dalla maternità hanno una dedizione maggiore. Difficilmente una donna sostenuta dal datore di lavoro in gravidanza poi smette di essere produttiva».
Work-life balance determinante anche per Ilva Papa, Manager Professional Oral Care Colgate Palmolive. «Se lo si raggiunge, l’engagement con l’azienda diventa esponenziale. È molto semplice dedicarsi anche 14 ore al lavoro con dedizione per chi ha alle spalle un percorso universitario che indica metodo e determinazione». Le difficoltà arrivano quando sono fattori altri, esterni, a entrare in gioco. Nel caso delle donne questi fattori sono spesso i figli, ma anche per Papa la compagnia ha fatto la differenza. «Colgate-Palmolive è molto attenta alla gender diversity e circa il 60% dei dirigenti è donna. È un contesto in cui non esistono discriminazioni né per quella che è la mia esperienza, né per la storia professionale delle mie colleghe. Non ho mai sentito di carriere rallentate a causa della maternità. Appena laureata ho lavorato sette anni in Telecom e lì lo scenario era diverso, molto più maschile. Il mio primo istinto è stato quello di dimostrare chi fossi lavorando anche più del necessario: dovevo capire anche come sconfiggere lo stereotipo secondo cui una donna non può essere femminile e anche capace». Papa indica nella flessibilità mentale la chiave per il successo. «È una dote naturale per una donna, come il multitasking. Non bisogna costringersi all’approccio unidirezionale ma essere consapevoli di avere una giornata fatta di tanti appuntamenti, ognuno con la sua priorità: se c’è la recita scolastica è necessario inserirla tra la presentazione e il meeting».
Ma in un Paese in cui le banche stentano a concedere credito alle imprenditrici nonostante le loro aziende falliscano meno di quelle degli uomini servirebbero politiche vere a sostegno delle lavoratrici. Come quelle indicate da Laura De Chiara, direttore Marketing Universal Pictures HE, che attraverso l’associazione Valore D, fondata da 12 società, promuove la leadership al femminile: in Italia infatti la percentuale di amministratori delegati donna è dell’8%, e scende a numeri da terzo mondo per posti occupati da donne nei consigli di amministrazione (siamo ottantesimi su 135 nazioni). Ecco perché Valore D, su input della Legge Boschi che impone il 30% di donne nei consigli di amministrazione di aziende quotate in Borsa e a partecipazione statale, prende talenti femminili italiani da formare con specifiche competenze per entrare nei consigli. Prima però è necessario superare certi schemi mentali. «Per ricoprire posizioni di livello dobbiamo uscire dal ragionamento che essere donna significa essere minus rispetto agli uomini: lavorare in contesti con diversity dà valore a qualunque comunità, perché ognuno apporta valori diversi in quanto singolo individuo. Primo consiglio: non scimmiottare gli uomini, non attingendo a modelli maschili». Una peculiarità ancora più importante da valorizzare per De Chiara quando si diventa genitori.
Per lo stesso ruolo dirigenzialele donne guadagnano tra il 10 e il 13%in meno rispetto ai colleghi uomini
«Dalla maternità si esce con competenze rafforzate, quelle dell’empowerment, del coinvolgimento. Sono capacità che si acquisiscono durante la maternità così come in un vero e proprio master». Eppure questo non basta a riempire quel gap economico di disparità tra salari che ancora oggi in Italia vede le donne guadagnare tra il 10 e il 13% in meno dei colleghi uomini per lo stesso ruolo dirigenziale. «È una discriminazione che dobbiamo contribuire a eliminare. Certo, le aziende hanno diverse politiche specie tra compagnie medio-piccole e multinazionali, queste ultime in media sono più avanti rispetto all’azienda italiana», sottolinea De Chiara. Cambiare approccio può essere un buon primo passo per tutti, soprattutto per le donne alla prima gravidanza, che devono ancora imparare a gestire l’ansia per il lavoro messo in standby. «Al primo figlio sono tornata a lavorare dieci giorni dopo il parto», confida la manager, «sentivo che c’erano delle aspettative su di me: sono queste le mentalità aziendali da cambiare sulle quali il sistema Italia è ancora un po’ indietro».
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